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Governo tecnico o di tregua istituzionale?

Fonte:
CulturaCattolica.it

Sarebbe bene dire chiaramente come stanno le cose, perché la non trasparenza è la peggior nemica della democrazia che ci sia.
L’unanimismo con cui è stato salutato il governo Monti non mi convince del tutto, non perché il titolare e la sua compagine non siano persone autorevoli, tutt’altro, ma perché tutta questa euforia – che peraltro non pare essere la stessa dei mercati – in realtà nasconde un fatto semplicissimo e chiarissimo nella sua banalità: non era possibile fare diversamente. Il Presidente Napolitano, al quale va dato atto di essere stato sollecito e determinato nell’affrontare la crisi aperta dalle dimissioni di Berlusconi, non ha tirato fuori magicamente il coniglio dal capello, ma ha fatto l’unica cosa possibile e realistica da farsi, sotto la spinta dei cosiddetti “mercati”. In realtà occorreva – e occorre – assumere dei provvedimenti di rigore, per far quadrare i conti dell’economia, specie in rapporto all’alto debito pubblico di cui soffriamo, pur evitando di bloccare la crescita del paese. Un’impresa titanica, come far quadrare il cerchio.
Ma è un tentativo obbligato per la sopravvivenza dell’Italia e della stessa Europa (si è detto che se cede l’Italia cede tutta la compagine). Un tentativo, che le forze politiche attuali non erano in grado di reggere: né il centro destra, pur favorevole in teoria ai provvedimenti indicati dall’Europa, ma incapace di attuarli concretamente (per divisioni interne e per l’opposizione delle parti sociali e dell’ostruzionismo parlamentare e di piazza); né, a maggior ragione, il centrosinistra, che avrebbe dovuto rilevare il testimone di governo, e che invece non ha nel suo DNA gli interventi programmatici necessari, ed anzi è più sensibile alle sirene delle manifestazioni di piazza.
Un cortocircuito dal quale se ne poteva uscire solo con il cosiddetto governo tecnico. Un ricorso alle urne sarebbe stato improponibile e avrebbe allungato e peggiorato la speculazione dei mercati. D’altronde, se è pur vero che le elezioni sono il fondamento della democrazia, è anche vero che le stesse regole democratiche permettono al Capo dello Stato di risolvere la crisi di governo incaricando un Presidente del Consiglio che riesca a trovare il consenso parlamentare, ai sensi dell’art. 92 Cost. Oggi si grida a sproposito all’attentato alla democrazia, così come si gridava ancor più a sproposito ieri nei confronti del governo Berlusconi o nei confronti di qualsiasi proposta di mutamento costituzionale.
Ciò detto, è però evidente che l’operazione – seppur nelle cose – è comunque abbastanza strana. Vi è come una sospensione dell’indirizzo politico-programmatico del parlamento che si esprime nella maggioranza parlamentare votata dai cittadini, ossia attraverso le forze politiche che si uniscono attorno ad un programma e ad un progetto di governo del paese concreto e di parte. L’attuale governo non è più espressione “attiva” di quei partiti uniti da un comune obiettivo e da una certa visione del perseguimento del bene comune premiati dal voto, ma è frutto di una sorta di “tregua” politica necessitata. Il governo Monti non rappresenta più la maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni, ma qualcosa d’altro (per esempio la necessità di uscire dalla crisi), o qualcun altro (in primis il Presidente della Repubblica che ha individuato premier e ragion d’essere del governo).
Se così stanno le cose, come credo stiano, più che di governo tecnico – definizione che non esiste in diritto costituzionale, in quanto nessun governo è mai “neutro” e ognuno deve ricevere comunque la fiducia delle Camere, fiducia necessariamente politica – dovrebbe parlarsi di “governo di tregua istituzionale” o di “governo scacciacrisi”.
A norma dell’art. 95 Cost. il Presidente del Consiglio “dirige la politica generale del governo” e “mantiene l’unità d’indirizzo politico”. In sostanza, le forze politiche hanno convenuto, nella presente contingenza storico-economica, di convergere nell’attuazione di un indirizzo politico comune, non di maggioranza né di minoranza, bensì finalizzato a superare la crisi dei mercati e ad attuare quegli interventi strutturali in grado di risollevare l’economia del paese, agendo su mercato del lavoro, su pensioni, su privatizzazioni, su vendita del patrimonio statale, su lotta all’evasione fiscale, ed anche prelevando “direttamente” dalle tasche dei cittadini. Si badi bene che ciò non significa far fuori la politica, perché non esiste una soluzione puramente “tecnica” nel senso di “neutra” in grado di risolvere magicamente tutti i problemi, che non implichi scelte programmatiche di un tipo invece che di un altro e che non abbia riflessi sulla vita dei cittadini e sulla società modificandole in un senso invece che in un altro. Si tratta pur sempre di scelte politiche e il governo dovrà in ogni caso proporre tipologie di soluzioni che trovino il riscontro favorevole delle forze politiche.
Ma ciò che si vuole qui sottolineare è il fatto che l’attuale governo non risponde più a una coalizione politico-partitica, non attua più un indirizzo politico di parte. Attraverso la tregua parlamentare, risponde alla richiesta del Presidente della Repubblica di porre in essere delle soluzioni per superare la crisi economico-finanziaria. E su questo punto, cioè sulle “cose concrete da fare” ha trovato un consenso unanime, al di là del bene e del male, al di là delle divisioni politiche e di parte, al di là di maggioranza e minoranza elettorali.
Allora, i casi sono due: o la quasi unanimità parlamentare ha chiaro quali devono essere le cose concrete che il governo Monti deve fare e non vi sono riserve mentali di parte, rispetto alle questioni di competenza di questa compagine governativa; oppure si lascerà l’attuale governo sempre più subordinato all’indirizzo politico-istituzionale espresso dal Presidente della Repubblica, ma in tal caso mi pare difficile che possa reggere la prova parlamentare.
La recente dichiarazione di Napolitano sulla cittadinanza acquisibile in virtù dello jus soli, ossia per il semplice fatto di nascere in Italia, subito ripresa dal nuovo Ministro Riccardi (“la cittadinanza ai bambini figli di immigrati, ma nati in Italia è un atto dovuto e di grande responsabilità per il futuro del paese”), ne è l’esempio più lampante. Ma ciò non consentirà facilmente a Monti di proseguire il suo cammino. Mi pare infatti che, consapevole di questo, il Presidente del Consiglio si sia dimostrato piuttosto distratto, rispetto alla proposta presidenziale.
Per farla breve, affinché il governo Monti regga, devono essere chiari e trasparenti tra le parti politiche i contenuti specifici di cui si deve occupare, ossia quali siano i temi che deve concretamente affrontare e cercare di risolvere. Non credo possa parlarsi di governo a termine, perché non è preclusivo un limite di tempo all’azione del governo (tranne quello di fine legislatura). Credo invece possa parlarsi di governo dai contenuti definiti, di un governo caratterizzato da alcune cose pratiche da fare. Per il bene del paese e perché l’Italia possa uscire dalla crisi.

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