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Una fede “fai da te”

Fonte:
CulturaCattolica.it
“Quando vostro padre passeggiando per il giardino vi diceva che le api pungono o che le rose hanno un dolce profumo, voi non parlavate di prendere il meglio della sua filosofia. Quando le api vi hanno pizzicato non avete detto che era una divertente coincidenza… No, voi avete creduto a vostro padre perché vi è sembrato uno che fosse una viva sorgente di fatti, uno che realmente ne sapeva più di voi, uno che vi avrebbe detto la verità domani come ve l’aveva detta oggi”.
(G. K. Chesterton, Ortodossia)

Repetita iuvant, dicevano gli antichi. Ne erano certi. Ma erano saggi, gli antichi. Adesso, alla fine delle frasi, è d’obbligo il punto interrogativo. Il relativismo che imperversa e che è diventato una vera e propria dittatura ha messo il becco persino sulla grammatica ed ha deciso: verboten il punto fermo. Poco dialogante, troppo categorico, ergo… dogmatico. Meglio il punto interrogativo, che lascia aperte mille, un milione, un miliardo, sette miliardi di risposte, in tutte le lingue del mondo.
E dunque, per adeguarci: reperita iuvant? Sì. Pur con il punto di domanda mi sento di rispondere con sicurezza in modo affermativo, nonostante mi renda conto che anche “sia il vostro parlare: Sì, sì; o no, no (Mt 5, 37)”, è di questi tempi considerato fuori moda. Sempre gli stessi, e cioè gli intellettuali che fanno audience, sostengono che è di gran lunga preferibile, più politicamente corretto, più aperto al confronto e alla mediazione il “ni”.
E allora eccolo sbucare ad ogni angolo, il “ni” che accontenta tutti. Eccolo imperversare nella trasmissione Uomini e Profeti, condotta da Gabriella Caramore su Radio Tre. Rieccolo nell’intervista che recentemente ha rilasciato a Franco Marcoaldi su Repubblica, in un articolo che ha come occhiello “L’autorità perduta. La saggista, che studia i temi religiosi, interviene sul cambiamento dei punti di riferimento nella fede”.
“Focalizzando l’attenzione sull’Occidente, ci troviamo di fronte a un quadro molto articolato, se non addirittura frantumato”, esordisce la Caramore. “Viviamo in società sempre più secolarizzate, ma che conoscono il costante innesto di nuove comunità religiose. Così, da un lato siamo in presenza di quei tradizionalisti cristiani, o islamici o di altre appartenenze, i quali continuano a riconoscersi nelle autorità che da sempre contrassegnano il loro mondo e la loro fede: si tratta di realtà magari molto estese, ma comunque residuali. Dall’altro monta invece, sempre più forte, una domanda di libertà, di ricerca spirituale individuale”. Questa la foto dell’attuale situazione, “come la vede lei”.
“Residuali” i cattolici che seguono la loro guida, il Papa, e il magistero della Chiesa, e la tradizione. Residuali e anche tradizionalisti. Robetta. Robaccia, si direbbe, prestando attenzione al contesto e al tono del discorso. (Trattasi del “piccolo gregge”, forse?)
Gli altri, la maggioranza che monta (e che evidentemente, per la Caramore e per Repubblica è quella che “conta”) chiede – ipsa dixit la saggista, con una punta di orgoglio intellettuale – “libertà e ricerca spirituale individuale”. E l’ interpretazione personale dei sacri Testi, of course.
Non contenta aggiunge, riferendosi alla Chiesa: “però non si può abusare troppo dell’innocenza del credente ‘bambino’. Come si fa a tenere alto il livello teologico del discorso e poi lasciar correre sui miracoli di Padre Pio? Senza mai raffreddare, senza mai contenere un miracolismo dilagante? (…) La Chiesa dovrebbe essere più accorta (…) altrimenti continuerà magari a sedurre le masse e a intrattenere rapporti con la politica, ma perderà in autorevolezza presso i credenti ‘adulti’”. Lasciamo perdere i verbi “sedurre” e “intrattenere rapporti”, perché il discorso non finirebbe più, ma eccoci al punto.
Repetita iuvant? Pur consapevoli che “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, giova ricordare, una tantum, chi sono, davvero, i cattolici “adulti”. L’ha ribadito in modo ineccepibile papa Benedetto XVI nell’omelia dei vespri alla vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo il 28 giugno 2009. Repetita iuvant.

“Nel quarto capitolo della Lettera l’Apostolo ci dice che con Cristo dobbiamo raggiungere l’età adulta, una fede matura. Non possiamo più rimanere “fanciulli in balia delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (4, 14). Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede “matura”, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Ma lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. È la fede che egli vuole. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi. Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo. La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo. Tuttavia, anche qui Paolo non si ferma alla negazione, ma ci conduce al grande “sì”. Descrive la fede matura, veramente adulta in maniera positiva con l’espressione: “agire secondo verità nella carità” (cfr Ef 4, 15). Il nuovo modo di pensare, donatoci dalla fede, si volge prima di tutto verso la verità. Il potere del male è la menzogna. Il potere della fede, il potere di Dio è la verità. La verità sul mondo e su noi stessi si rende visibile quando guardiamo a Dio. E Dio si rende visibile a noi nel volto di Gesù Cristo. Guardando a Cristo riconosciamo un’ulteriore cosa: verità e carità sono inseparabili. In Dio, ambedue sono inscindibilmente una cosa sola: è proprio questa l’essenza di Dio. Per questo, per i cristiani verità e carità vanno insieme. La carità è la prova della verità. Sempre di nuovo dovremo essere misurati secondo questo criterio, che la verità diventi carità e la carità ci renda veritieri”.

Questi i veri cattolici “adulti”. Non delle banderuole che seguono la direzione dei venti, ma saldi nella fede in Cristo morto e risorto e nella sequela a Pietro, “roccia” sicura. Il resto – tutto il resto – con buona pace della Caramore, della “maggioranza che monta”, di Marcoaldi e della solita Repubblica, è “fede fai da te”, anche un po’ infantile. Il credente “bambino” è un’altra cosa. Si fida e si affida, come fanno i figli con i padri, e segue l’insegnamento di Cristo: “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli”.

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