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Parlare con franchezza

Fonte:
CulturaCattolica.it

Serve fermarsi, a volte. Fermi, un bel respiro, osservare in silenzio la realtà.
Sono al computer. Davanti all’homepage di CulturaCattolica.it. La guardo e poi clicco in alto. “Ultime 50 novità”. I titoli rimandano alle tante cose accadute, alle esperienze che abbiamo vissuto, alle provocazioni che ci siamo sentiti di dover raccogliere, alle sfide lanciate…
Computer sono altri siti che riprendono i nostri articoli. Sono utenti di facebook che li postano sulle loro bacheche.
Computer è internet: la rete in cui, ogni giorno, puoi pescare tutto e il contrario di tutto. E allora ecco il lancio di notizie di qualche riga: piccole schegge di realtà, immediatamente sommerse da opinioni, interpretazioni, revisioni, distorsioni, digressioni, dibattiti, polemiche, accuse, smentite… Leggi e rischi di perderti, perché, nel groviglio di parole, finisce che quasi mai capisci dov’è il bandolo.
Computer sono i siti “preferiti”, le news-letter che arrivano. Altre notizie, altre riflessioni, altri commenti.
Sono davanti al computer, davanti all’home page di CulturaCattolica.it e mi chiedo che senso abbia la mia, la nostra presenza in questo mare magnum in cui la rete può tenere unite, in relazione, idee e persone, ma può anche imbrigliare e imbrogliare.
Serve fermarsi, a volte. Fermi, un bel respiro, osservare in silenzio la realtà.
E così, nel silenzio, è il cuore a porsi e a pormi la domanda. Che senso ha il tempo che dedico e dedichiamo allo scrivere; che senso ha lo “spazio” che le nostre riflessioni occupano in internet?
La prima risposta – come sempre – arriva, chiarissima, dal Vangelo di oggi [Domenica XXXIII anno A] e dalla parabola dei talenti.
Penso a Todi, ad Assisi, alle conferenze, alle discussioni e alle prolusioni sul ruolo dei cattolici in politica e… nel mondo, e cioè nella vita di tutti i giorni. Fiumi di inchiostro, pagine e pagine di opinioni a confronto, dibattiti in cui ciascuno se ne esce con la sua personalissima teoria… Poi senti il Vangelo, ascolti con attenzione la parabola dei talenti e ti dici che, lì, c’è già tutto. Letteralmente tutto.
A ciascuno sono stati affidati dei talenti di cui sarà chiamato a rendere conto. Vanno fatti fruttare e non, per paura, sotterrati, “…perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Ho già la risposta, chiarissima, che non prevede “se” e neanche “ma”. Così chiara che non dà spazio alle interpretazioni personali sempre più di moda anche tra tanti cattolici-fai-da-te. Sento che mi basta la risposta inequivocabile che ho ricevuto stamattina.
Ma computer sono anche le caselle di posta elettronica e le e-mail che ci arrivano.
Ricevo tante mail ogni giorno: dai colleghi, per lavoro; dai miei studenti. Mail di amici.
A volte arrivano, inaspettate, mail di lettori che non conosco. Sono queste le e-mail che leggo con più attenzione. Riguardano gli articoli che scrivo ed hanno la freschezza delle foto scattate a nostra insaputa. Le più belle, quelle di quando non ti metti in posa e vieni “naturale”. Guardi la foto e con stupore scopri, di te, espressioni che non conoscevi e che ti raccontano.
E’ accaduto in questi giorni. Uno scambio veloce di mail con una lettrice che, tra le righe dei miei articoli, ha “visto” me… al di là di me.
Ho pensato di riportare dei passaggi di questa corrispondenza, perché se è vero che i lettori di CulturaCattolica.it ci “vedono” così, allora è necessario che il nostro impegno continui.

Cara Luisella, mi sono entusiasmata leggendo la tua lettera aperta a Concita De Gregorio. Finalmente un cristiano che esce allo scoperto da dietro la siepe e ha il coraggio di dire la verità alla maniera dei “parresiastes”. Grazie. Chissà quanti cristiani vorrebbero avere l’opportunità di uscire dalla caverna di Platone e dai tentacoli di tutti gli inganni che circolano nella nostra attuale cultura a senso unico! (Voglio essere ottimista, anche perché la tua lettera ha rinnovato e rinforzato in me la speranza). Bisogna che la verità circoli di più in mezzo a noi e a tutti gli uomini e le donne della terra. I vuoti dei silenzi consenzienti, i sorrisi veri o falsi, di fronte alle menzogne, sono le tane delle volpi che guastano la vigna del Cantico dei Cantici. La tua lettera mi ha ridato forza e allegria, è la porta che fa intravedere la nostra meta. Anch’io sono insegnante, nonna, ma come vedi non ho ancora smesso di cercare, ogni giorno, proprio come fa la sposa innamorata del Cantico dei Cantici. E spesso lo Sposo si fa trovare, perché Gesù Cristo non è un ideale. E’ la Verità. (…)
C’è poco da fare e da dire. Se non si rinasce dall’alto non si hanno orecchie per intendere. E’ per questo che i profeti fanno sempre una brutta fine. Si preferiscono gli indovini e le fattucchiere ancora oggi, forse oggi più di prima, ma in maniera più subdola e occulta. Dobbiamo smascherare gli inganni del demonio, ma per far questo dobbiamo indossare l’‘armatura di Dio’. E’ una lotta che non possiamo fare senza armi. La prima arma è ‘cingersi i fianchi con la Verità’, con quel che segue, come ci consiglia S. Paolo. Proprio come hai fatto tu. Ti devo chiamare Giuditta?La tua gioia mi è arrivata fino a qui, nel mio studio pieno di libri, con mille fogli sparsi e appunti disordinati. (…)
Per chi non ha sperimentato la morte ontica di Kierkegaard e la successiva resurrezione con la propria anima e il proprio corpo, la fede sarà solo ‘per sentito dire’, come disse Giobbe a Dio, quando lo conobbe per la prima volta e lo vide finalmente dentro la sua tragica antica via degli empi. Nella sua storia.(…)
Il nostro ‘diletto’ è per noi ma anche per gli altri. Non siamo soli. La Chiesa è il nostro ovile e abbiamo un Buon Pastore che ci conduce. Ma a noi è affidata una missione che ci trascende. Ci piacerebbe mettere tre tende sul monte. Nell’ovile si sta al calduccio. Ma ci sono altre pecore che non sentono la voce del Pastore e hanno freddo. Per loro Gesù Cristo soffre, per i troppi falsi profeti che circolano in mezzo a noi. Ma Lui ha dato la vita anche per loro. Bisogna andarglielo a dire. Lo zelo per la sua casa deve divorare anche noi. Guai a noi se non evangelizzassimo! Mostreremmo una spudorata ingratitudine”.

C’è tutto ciò che siamo e che siamo chiamati ad essere, in questa mail firmata da Renata Franzolini, “artista, insegnante, cristiana, moglie, madre, nonna, studentessa, missionaria”, che, già docente di Storia dell’Arte, a 70 anni sta completando un’altra tesi di laurea a “la Sapienza”, su “Verità e bellezza: una svolta verso il nuovo Umanesimo”, perché – scrive – “se non torna la possibilità di ripercorrere la ‘Via Pulchritudinis’ veramente l’uomo morrà”.
Sono raccontati i germi di bene che, grazie a Dio, dai nostri articoli arrivano ai lettori e li confortano, e li spronano. C’è il nostro impegno e il nostro desiderio di raccontare la bellezza che rimanda alla Bellezza. E il positivo che dà luce e vigore alla vita.
C’è la gratitudine per i pochi o tanti talenti ricevuti, che van messi a servizio per la costruzione del Regno, affinché la società diventi sempre più dell’uomo e per l’uomo. C’è la consapevolezza dell’emergenza in cui siamo e di una battaglia da combattere con le armi della Verità.
C’è il desiderio della testimonianza, lo spirito missionario e la necessità di una nuova evangelizzazione: un compito a cui nessun cristiano può sottrarsi.
C’è la certezza dell’appartenenza alla Chiesa-Corpo di Cristo e la sicurezza di chi non è solo, abbandonato a se stesso, ma ha un Pastore Buono che lo guida.
E c’è una parola che, più delle altre, colpisce: “parresiastes”.
La “parresìa” è parlare con franchezza, con l’umiltà di chi si sente in dovere di prendere la parola per rendere giustizia a una verità che non è la sua, una verità per comunicare la quale si sente sempre inadeguato, ma che merita comunque di essere detta, anche se spesso mette in una posizione scomoda, perché “controcorrente”.
Ma dice bene Renata. Il parresiastes può essere testimone solo di una verità che lo ha toccato, che lo ha cambiato; non di un’“idea”, di una “teoria”. Il parresiastes prende la parola per comunicare il modo unico e irripetibile in cui la Verità gli si è manifestata, affinché anche altri, tutti, possano incontrarLa.

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