Trecentosessantaquattro abitanti più due
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Ci sono giornate e incontri da cui scaturisce una luce che ti si fissa nel cuore. Ed è di una giornata e di questi incontri che oggi desidero scrivere.
L’incontro con la mostra “Aldilà – ultimo mistero”, innanzitutto, che mi ha permesso di gustare la bellezza di sessanta opere provenienti dalle sedi museali più prestigiose d’Europa e mi ha fatto riprendere la strada di casa con una consapevolezza nuova, perché è proprio vero: quando fai memoria dell’Aldilà, della realtà in cui ognuno di noi è amorevolmente atteso, cambia necessariamente il modo con cui vivi il percorso di avvicinamento. E i passi, tutti: quelli in piano, ma anche quelli in salita, si caricano di sostanza e di senso.
L’incontro con Illegio, il paese che ospita la mostra. Un grazioso arroccamento tra i monti della Carnia, poco distante da Tolmezzo. Lasci le ultime abitazioni nuove, coloratissime, alcune ancora in fase di costruzione e imbocchi una stradina che, curva su curva, pare ti porti ad un mondo “altro”. Boschi e pascoli, prima, poi il borgo, con le case prevalentemente in pietra, il cinquecentesco “Mulin dal Flec” ancora in funzione, come la latteria, e un laboratorio dove si confezionano lenzuola in raso di cotone e lino che nulla hanno da invidiare ai tessuti, pregiati, delle Fiandre. Montagne luccicanti appena innevate, sullo sfondo, e un silenzio che di primo mattino invita ad ascoltare, a guardare, a recuperare ritmi perduti, come a sanare la ferita delle nostre città rumorose, pesanti e dense per l’ eco plumbea del quotidiano avvilimento.
Poi l’incontro con gli abitanti, che in tutto sono trecentosessantaquattro… più due. “Due sono ancora nel grembo della loro mamma, ma noi li contiamo già”, precisa il parroco, don Alessio Geretti. E basterebbe l’attenzione a quei “due” per descrivere l’essenza di questo giovane sacerdote…
Lo vedi in chiesa, alla messa delle 9.30, uno spaccato della gente di Illegio: le donne più anziane, velo o fazzoletto in testa, che racchiudono, nello sguardo, un’umanità antica. E i bambini (… tanti, ti pare, per un paese così piccolo…). E poi i giovani della polisportiva, riuniti a ricordare il loro presidente, mancato da poco. E poi la cura nella liturgia, come un anticipo di eternità.
Alla celebrazione eucaristica delle 9.30 la prima lettura è in friulano, ed è musica che va dritta al Cielo; ma in friulano si esprime, nei momenti che ti paiono i più cruciali dell’omelia, o al congedo, il parroco. E’ anche così che si crea comunità.
Lo osservi, don Alessio, mentre sta parlando con te e intanto, con un “mandi” e con un cenno del capo saluta chi passa, e lo chiama per nome. Un pastore che conosce le sue pecore ad una ad una ed ha cura di tutte, pensi. E’ anche questa una delle tante cose che porterai a casa da un paese che non può non stupire…
A Illegio nelle grandi occasioni si canta ancora il Vespero solenne, in latino, quello con i cinque Salmi. Anche i giovani che magari non vanno sempre a Messa, scopri che a quell’appuntamento non mancherebbero per nessun motivo al mondo. E’ così sentita la festa dell’Immacolata che l’otto dicembre, ad Illegio, si dice che cantino persino… le pietre.
In questo paese minuscolo si custodiscono tesori di tradizioni interessanti, anche se non così spettacolari da finire sotto la luce dei riflettori “che contano”. La Pieve di San Floriano, ad esempio, datata fine del 1300 – inizi del 1400. O i resti dell’antica chiesa del IV secolo.
I vecchi di Illegio ancora raccontano del “sentiero dei morti”. Poi indaghi ed è vero che da Paularo, lungo un viottolo, portavano i defunti a seppellire a S. Floriano, ma scopri che l’ultimo morto lì sotterrato è del 1306 e allora ti stupisce questa fedeltà alla memoria orale, così sorprendente in un’epoca in cui tutto passa e, presi dalla fretta, riusciamo a scordarci il compleanno di un familiare… Lì, quando ci si sposa, sotto il capannone accanto alla canonica, che è diventata la sede delle mostre, la festa spesso è per tutti, e agli anziani che non possono muoversi il cibo si porta a casa con la gerla, quella che si usava per andare a far fieno.
E’ il parroco, don Alessio Geretti, a raccontare molte delle cose qui riportate. Ed è anche per lui che siamo venuti quassù. Per incontrare quest’uomo, sacerdote dal 1998, che, insieme alla comunità che gli è stata affidata, dal 2000 sta organizzando appuntamenti di altissima qualità artistica per i quali sono i numeri a parlare.
In questo borgo tra i monti, a visitare la mostra “Angeli. Volti dell’invisibile”, nel 2010 sono venuti in 33.000. Trentatremila. Lo scrivo anche in lettere, che non sembri un refuso.
Non c’è una “ricetta”, ha spiegato a noi che desideravamo capire. E’ la vita a dimostrare che, di fronte al grande amore, al grande dolore, al bello, tutti sono più vulnerabili alla Grazia. E’ in quelle situazioni che meglio conosciamo la realtà ed è lì che Dio si manifesta nella Sua evidenza. Ricordare dunque che la cultura è un sistema organico attraverso cui l’uomo condivide le grandi questioni della vita e le grandi risposte a queste domande che accomunano tutti gli uomini è imparare uno sguardo diverso sul passato e sul presente. Ed anche sull’arte occidentale, che non è solo repertorio di oggetti da ammirare per le qualità estetiche che li caratterizzano, ma soprattutto perché, in quelle opere, gli uomini di tutte le epoche si sono interrogati su di sé e sul loro ruolo nell’universo e nella storia.
Ed è così vera per tutti e per ciascuno, questa “terapia del bello”, che, se i visitatori ad ogni appuntamento arrivano più numerosi, e l’anno dopo ritornano e portano gli amici, i paesani danno sempre il meglio che possono. C’è chi si occupa dei contatti e dell’organizzazione, chi degli allestimenti, chi fa i turni come guida… Qualcuno, semplicemente, tiene in ordine e pulisce. Ed è bello – ci racconta il parroco – quando le donne, mentre rassettano, danno una sbirciata ai dipinti e si chiedono cosa avesse l’artista nel cuore quando ha prodotto quell’opera. E’ come un raffinarsi dell’umano per chi viene da fuori e per chi da Illegio magari non si muoverà mai. E’ un esempio che fa riflettere e capisci che è vero: la capacità di com-muoversi davanti al bello, al buono, al giusto, al vero ce l’ha scritta nel cuore il Creatore. Non serve avere “studiato”: quando ci imbattiamo nella bellezza, quella vera, immediatamente la ri-conosciamo.
E così c’è un altro incontro “bello” di cui desidero parlare. L’incontro con gli amici dei Centri culturali della provincia di Venezia che da un po’ si sono uniti, mossi dal desiderio di collaborare e di camminare insieme.
HUB: “Hac Unitate Bonum” è il nome che abbiamo voluto dare a questa nuova realtà che sta, ora, muovendo i primi passi. E’ con loro che, ieri, abbiamo incontrato Illegio, e la sua mostra, e il suo parroco.
Guardando questa piccola comunità carnica e la storia degli ultimi dieci anni abbiamo capito che lavorare insieme non solo è possibile, ma è ricchezza per tutti. La forza che muove questa gemma incastonata tra i monti della Carnia e l’ha resa calamita di bellezza non è il desiderio, generico, di “fare”, ma è… la bellezza del più bello tra i figli dell’Uomo e, a Illegio, paese di “trecentosessantaquattro abitanti più due”, a tutti è dato vedere cosa può accadere se Gli si spalancano le porte.
Quando autenticamente si vive la propria umanità e si guardano in faccia, con onestà, le domande più vere del cuore, si può incontrare, concretissima, la più affascinante delle risposte: Cristo risorto.
Che sia proprio Lui Chi attendiamo e Chi ci attende è certezza che si legge nello sguardo dolcissimo del Cristo nell’“Incredulità di Tommaso”, capolavoro del Guercino, una delle opere che aprono la mostra.
Chi va ad Illegio desideroso di “capire” come possa, lì, accadere ciò che accade, da Illegio torna sicuro di avere la risposta. I suoi occhi hanno visto, le sue mani hanno toccato e nel profondo del cuore sa che quando si è guardati, amati, attesi… così, la vita acquista un sapore nuovo e tutto, ma proprio tutto, in Lui diventa possibile.