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Marco Simoncelli, la morte arriva in pista

Fonte:
CulturaCattolica.it

Ci sono accadimenti nella vita di un uomo, di una famiglia, che non sono adatti ai tempi televisivi, alle dichiarazioni “a caldo”. Quando muore un figlio, un fidanzato, un amico, come fai a dire al mondo cosa provi, cosa pensi. Il dolore ha bisogno di rispetto, spesso di tempo, silenzio, solitudine.

Marco Simoncelli, ventiquattro anni, una cascata di riccioli che parevano finti, pilota dell’Honda, in gara per il gran premio della Malesia, la sua moto è scivolata, poteva essere una di quelle cadute che a noi, seduti in poltrona fa battere il cuore, li vedi scivolare con il sedere sulla sabbia, rialzarsi come fossero un cartone animato e ripartire. Invece, una caduta come tante è stata il suo ultimo gesto in diretta tv, la modernità ci permette di vedere e rivedere, di soddisfare curiosità e a volte morbosità, i piloti che lo seguono sono compagni di gara, amici, eppure non possono evitarlo, se lo trovano sotto alle ruote.
E' uno sport, un lavoro pericoloso quello di correre su una moto verso un traguardo, un lavoro che può farti salire trionfante sul podio o che può non farti rialzare più da terra.

La tv documenta, puntuale e impietosa, l’attimo in cui la vita diventa dolore, la lotta disperata di chi non si arrende e cerca di ridare una speranza.
Ci mostra l’incredulità di un padre e le lacrime di una fidanzata che ha visto in un attimo i sogni svanire e noi vorremmo poterla se non consolare, almeno stringere forte, in un abbraccio che se non placa il dolore forse potrebbe far sentire meno disperati e soli.

Chi crede in un destino buono, innalza al cielo una preghiera per dire a quel Dio della vita che ciò che ci consola sul suolo freddo di questa terra è sapere che c’è un luogo dove ci ritroveremo, senza pene e senza solitudini terrene.
Chi a quel destino buono non sa credere, cercherà di trovare un colpevole o forse solo un significato a questa vita che senza un’eternità un senso pare proprio non averlo, è per questo che più di ogni altra cosa la morte delle persone a noi vicine, mette a nudo le nostre fragilità e mette a disagio le nostre certezze.

Oggi pensavo ai miei figli, che hanno su per giù la sua età, li vedi diventare uomini fare progetti e nel silenzio del tuo cuore anche tu ne fai, speri trovino la loro strada, realizzino i loro sogni, li vedi con un bambino in braccio e immagini che la storia continui e poi accadono cose che ti fanno tornare alla realtà, e li guardi grata del loro sorriso e consapevole che non sono tuoi, che tu non conosci il loro domani.

Marco aveva ventiquattro anni, sembrava invincibile, bello, simpatico, semplice, qualcuno ha cercato di dare la colpa a qualcuno o a qualcosa di tecnico che non ha funzionato, si vorrebbe sempre trovare un meccanismo che protegga la nostra fragilità, ma forse la verità è semplice, che non sappiamo il giorno e l’ora in cui la nostra avventura terrena avrà fine.

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