Il Paese ha bisogno dei cattolici. […] Quel che resta, non poco, di quella tradizione ha il compito storico di promuovere un dialogo più proficuo con le altre componenti laiche, liberali e riformiste della società. L'indispensabile opera di pacificazione del dopo Berlusconi passa necessariamente dalla affermazione della centralità della persona e dalla riscoperta delle virtù civili. I cattolici possono intestarsi una nuova missione, esserne protagonisti. Dire quale idea dell'Italia hanno in mente. Riscoprire un tratto più marcatamente conciliare dopo l'era combattiva e di palazzo di Ruini. Una missione sociale, in questi anni, poco valorizzata, mentre si è insistito tanto sulla difesa dei valori cosiddetti non negoziabili, dal diritto alla vita alle questioni bioetiche, al punto di estendere l'incomunicabilità con le posizioni laiche all'insieme delle questioni civili ed economiche. Un dialogo va ripreso su basi differenti, nel rispetto delle libertà di coscienza.
I cattolici promuovano un dialogo senza pregiudizi con gli altri, come è accaduto nei momenti più bui della storia del nostro Paese. Il loro apporto sarà decisivo nella misura in cui saranno se stessi, senza mimetizzarsi e perdersi in altre case apparentemente ospitali. Possono essere maggioranza nel dibattito delle idee, pur restando minoranza nel Paese. | Ma la giusta preoccupazione verso questi temi non deve far perdere di vista la posta in gioco che è forse meno evidente, ma che sta alla base di ogni altra sfida: una specie di metamorfosi antropologica. Sono in gioco, infatti, le sorgenti stesse dell’uomo: l’inizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è l’uomo e la donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino. Proprio perché sono “sorgenti” dell’uomo, questi principi sono chiamati “non negoziabili”. Quando una società s’ incammina verso la negazione della vita, infatti, “finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 28). Senza un reale rispetto di questi valori primi, che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare ad un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità. Ogni altro valore necessario al bene della persona e della società, infatti, germoglia e prende linfa dai primi, mentre staccati dall’accoglienza in radice della vita, potremmo dire della “vita nuda”, i valori sociali inaridiscono. Ecco perché nel “corpus” del bene comune non vi è un groviglio di equivalenze valoriali da scegliere a piacimento, ma esiste un ordine e una gerarchia costitutiva. Nella coscienza universale sancita dalle Carte internazionali è espressa una acquisita sensibilità verso i più poveri e deboli della famiglia umana, e quindi è affermato il dovere di mettere in atto ogni efficace misura di difesa, sostegno e promozione. Ciò è una grande conquista, salvo poi – questa dichiarazione – non sempre corrispondere alle politiche reali. Ma, ci chiediamo, chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto?...Vittime invisibili ma reali! E chi è più indifeso di chi non ha voce perché non l’ha ancora o, forse, non l’ha più? E, invero, la presa in carica dei più poveri e indifesi non esprime, forse, il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento? E non modella la forma di pensare e di agire - il costume - di un popolo, il suo modo di rapportarsi nel proprio interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dell’attenzione e della gratuità personale? Questo insieme di atteggiamenti e di comportamenti propri dei singoli, ma anche della società e dello Stato, manifesta il livello di umanità o, per contro, di cinismo paludato, di un popolo e di una Nazione. La nostra Europa, come l’intero Occidente segnato da una certa cultura radicale fortemente individualista, si trova da tempo sullo spartiacque tra l’umano e il suo contrario. Questi temi non sono rimandabili quasi fossero secondari; in realtà formano la “sostanza etica” di base del nostro vivere insieme. Già nel 1992, i Vescovi italiani scrivevano: "L'elaborazione di una diversa cultura dell'uomo e della convivenza sociale è il problema più serio, la più grande sfida che la società italiana deve affrontare" (CEI, Evangelizzare il sociale, n. 89).
[…] A volte si sente affermare che di questi valori [non negoziabili] non bisognerebbe parlare perché “divisivi” e quindi inopportuni e scorretti, mentre quelli riguardanti l’etica sociale avrebbero una capacità unitiva generale. L’invito, non di rado esplicito, sarebbe quello di avvolgerli in un cono d’ombra e di silenzio, relegarli sempre più sullo sfondo privato di ciascuno, come se fossero un argomento scomodo, quindi socialmente e politicamente inopportuno. L’invito è spesso di far finta di niente, di “lasciarli al loro destino”, come se turbassero la coscienza collettiva. Tuttalpiù si vorrebbe affidarli all’opera silenziosa e riservata della burocrazia tecnocratica. Ma è possibile perseguire il bene comune tralasciandone il fondamento stabile, orientativo e garante? Il bene è possibile solo nella verità e nella verità intera. Per questa ragione non sono oggetto di negoziazione: su molte questioni, infatti, si deve procedere attraverso mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che, per il contenuto loro proprio, difficilmente sopportano mediazioni per quanto volenterose, giacché, questi valori, non sono né quantificabili né parcellizzabili, pena trovarsi di fatto negati. |