Indignados? Al lavoro!
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Quella di sabato doveva essere una manifestazione globale, giovani indignati, delusi, traditi da un mondo che non li ha resi più felici. Delusi da chi governa, delusi dal capitalismo, dalla religione, delusi da questa società dove chi comanda non conosce “bene comune” dove si è arrivati a pensare di fare i soldi con i soldi e non con il lavoro.
Il tam tam mediatico li aveva radunati in diverse parti del mondo per cortei pacifici, rumorosi e colorati, ognuno aveva i suoi buoni motivi per protestare, a New York come a Londra, Berlino, Madrid, Roma e via protestando, qualcuno con cui prendersela di certo non manca.
Si era pensato che la vita non si potesse far altro che migliorare, che i figli sarebbero stati sempre un po’ meglio dei loro padri, avrebbero lavorato meno, guadagnato meglio, ora invece si rischia di fare un salto indietro, qualcuno l'ha già fatto e la paura paralizza.
Ora il castello di carte dorate crolla e si ha la netta impressione che chi lo ha costruito non sappia come salvarlo, lo puntella, come una casa pericolante puntellata con gli stuzzicadenti.
Così la gente scende in piazza, protesta, ce l’ha con tutto e con tutti, gli indignados italiani intervistati se la prendevano con le banche, con i politici, con la tecnologia, con Facebook, che pure è servita a chiamare a raccolta questa manifestazione globale.
Soluzioni, proposte, sembra non ne abbiano, o che nemmeno loro credano sia possibile un cambiamento, un colpo di reni, una ripartenza. La colpa è di chi sta “in alto” di questa democrazia malata, di questo capitalismo insano, di una religione "tiepida", ma è chiaro che in altri luoghi “esperimenti differenti” non hanno reso il popolo né più felice, né più ricco.
E allora?
C’è chi si indigna e chi si “intrufola” a capo coperto, armato e attrezzato e incendia palazzi, auto, spacca vetrine e tira sassi alla polizia.
E’ questo il modo?
E’ questa la soluzione, il metodo per ricominciare a vivere sperare e lavorare?
Né i manifestanti pacifici, né gli imbecilli violenti, sembrano avere un’idea nuova, una proposta che vada oltre la protesta.
Mentre guardavo alla TV le immagini di Roma messa a ferro e fuoco, mi è tornata in mente la mostra della fondazione per la Sussiadirietà dal titolo: “Un impiego per ciascuno. Ognuno al suo lavoro“
Una mostra che ripercorre la storia e le cause del disastro mondiale che stiamo subendo, i motivi che ci hanno fatti precipitare in questo buco nero e prova a dare delle risposte, un punto da cui ripartire.
Perché indignarsi non serve se si individuano solo colpevoli, ma non motivazioni e azioni da cui rinascere.
Si legge su un pannello della mostra:
“Una crisi può essere una vera benedizione per ogni uomo e per ogni nazione, perché tutte le crisi portano progresso.
La creatività nasce dalle difficoltà, come il giorno nasce dalle tenebre della notte.
E’ dalla crisi che scaturiscono inventiva, scoperte e grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i propri insuccessi, inibisce il proprio talento e da’ più valore ai problemi che alle soluzioni. […]
Senza crisi non c’è sfida, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito. E’ dalla crisi che emerge il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza. Parlare di una crisi significa promuoverla, non parlarne è esaltare il conformismo. Piuttosto lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi che ci minaccia, cioè la tragedia di non voler lottare per superarla” Albert Einstein
Ecco, sarebbe un buon inizio, se oltre ad indignarsi si provasse a mettersi insieme per trovare strade nuove, per capire chi siamo, in chi o cosa, abbiamo riposto la nostra speranza e come da una crisi, da una sconfitta, si possa rimettersi in piedi e riprendere il cammino.
Indignados? Al lavoro!