La Tortuga d’Europa
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Nonostante l’attuale contingenza economica, il macabro turismo della morte sembra non conoscere crisi. Si tratta di un fenomeno che va dai viaggi di sola andata verso la clinica svizzera Dignitas, alle escursioni londinesi per gli aborti tardivi. Il fatto scandaloso è che anche medici di strutture sanitarie pubbliche italiane si offrano come tour operator di questi viaggi della disperazione. Emblematico è il recente caso del ginecologo dell’Ospedale Infermi di Rimini che ha indirizzato una donna a Londra per farle interrompere la gravidanza, visto che la vita del feto aveva ormai superato i limiti previsti dalla legge italiana per ricorrere all’aborto. La Gran Bretagna, infatti, offre da questo punto di vista un’assoluta tolleranza, essendo possibile abortire, in alcuni casi, anche oltre le 24 settimane. La donna in questione, dopo essersi recata presso una clinica londinese, dove si sono limitati a sopprimere il feto, ha fatto il viaggio di ritorno portando in grembo il figlio morto, e si è ripresentata, come concordato, dal ginecologo riminese. Questi ha provveduto a completare il processo abortivo, ricoverando la donna per l’espulsione del feto. Onde evitare spiacevoli complicazioni, è parso sufficiente allo stesso ginecologo apporre sulla cartella medica la falsa dicitura di “aborto spontaneo”. Fortunatamente l’illecito escamotage non è riuscito. Il primario della struttura ospedaliera è venuto a conoscenza dei fatti denunciandoli all’Azienda sanitaria riminese che, dopo aver aperto un procedimento disciplinare, ha disposto il licenziamento del medico.
Questo episodio getta un’ombra inquietante su due aspetti. Il primo è costituito dal fatto che attraverso l’inganno del finto aborto spontaneo vengano sottratti alla statistica ufficiale casi d’interruzione volontaria della gravidanza. Il secondo, più allarmante, è rappresentato dai viaggi che non poche donne italiane intraprendono ogni anno per andare ad abortire in Gran Bretagna. I dati ufficiali parlano di 2278 casi negli ultimi nove anni, con una media di 253 donne all’anno (dalle 389 del 2001 alle 145 del 2010).
Resta il fatto che il Regno Unito sta assomigliando sempre più ad una Lawless Land, una terra senza legge, nel delicatissimo settore della bioetica. Basta fare alcune comparazioni. In Italia, ad esempio, chiunque esegua sperimentazioni su embrioni umani rischia come pena massima sei anni di reclusione ed una multa di 150.000 euro, mentre in Gran Bretagna l’Università di Newcastle è stata espressamente autorizzata ad effettuare proprio tale attività. In Italia chiunque, in qualsiasi forma, realizzi, organizzi o pubblicizzi la commercializzazione di gameti o di embrioni, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro, mentre in Gran Bretagna si è persino autorizzata una lotteria a premi avente per oggetto degli embrioni. Stessa pena è prevista in Italia per chi realizzi, organizzi o pubblicizzi la maternità surrogata, mentre in Gran Bretagna le surrogate mother rappresentano un fenomeno assolutamente lecito e sempre più diffuso, con tanto di cliniche e centri specializzati. In Italia chiunque fecondi un gamete umano con un gamete di specie diversa rischia come pena massima otto anni di reclusione e la multa di 200.000 euro, mentre in Gran Bretagna quella fucina di orrori biotecnologici che è l’Università di Newcastle continua tranquillamente a produrre ibridi realizzati mediante tessuti umani ed animali, con tanto di autorizzazione delle competenti autorità. Stessa cosa per la clonazione di embrioni, la fecondazione assistita per le ultrasessantenni, la crioconservazione di gameti di defunti, e così via. Le Isole britanniche sono ormai diventate il Far West etico d’Europa, il Paese in cui nessun ostacolo di ordine morale riesce ad arrestare l’assoluta spregiudicatezza in campo genetico. Ma è davvero possibile che il Regno Unito possa considerarsi una sorta di isola di Tortuga, in cui viga l’impunità per ogni forma di pirateria bioetica? Anche se, per essere precisi, più che di pirati si dovrebbe parlare di corsari, visto che l’attività si svolge dietro l’autorizzazione del governo di Sua Maestà britannica, come ai tempi dei due più famosi corsari della storia, Francis Drake ed Henry Morgan, che non a caso erano uno inglese e l’altro gallese. Forse anche questa natura, in fondo, fa parte del patrimonio genetico degli anglosassoni.