Pane per il mondo
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Nei suoi “Pensieri improvvisi”, Sinjavskij pone a confronto lo stile di vita di un contadino del passato “che non si spingeva mai al di là del suo orticello”, in un orizzonte che noi giudicheremmo ristretto, con l’uomo moderno che, “scorso il giornale”, muore solitario sul suo “divano angusto e superfluo”. Dove va a finire tutto il nostro orizzonte, si chiede lo scrittore russo, la nostra informazione, “tutta la nostra capacità ricettiva quando ci togliamo i calzini? O quando portiamo il cucchiaio alla bocca? Prima di impugnare il cucchiaio, il contadino cominciava col farsi il segno della croce e con questo solo gesto riflesso si legava alla terra e al cielo, al passato e al futuro”. Colpisce l’attualità di questi pensieri. Noi, prigionieri del presente, manchiamo di quel legame con l’universale, “con l’immensa creazione del mondo”, che il contadino antico, invece, viveva. Domenica scorsa, di fronte all’azzurro sfavillante del mare di Ancona, in uno scenario di bellezza naturale, Benedetto XVI ha affermato che “è anzitutto il primato di Dio che dobbiamo recuperare nel nostro mondo e nella nostra vita, perché è questo primato a permetterci di ritrovare la verità di ciò che siamo”. Altro modo per dichiarare la necessità di legare il cielo alla terra, il nostro essere con il senso di noi stessi e delle cose, come era per l’antico contadino. Mentre il pensiero dominante continua a confondere la libertà con l’assenza di legami e considera Dio “come un limite alla libertà” dell’uomo, la mancanza di verità ci pone di fronte a una solitudine dura da accettare, in stridente contrasto con l’aspirazione all’unità in noi stessi e con gli altri. Non si tratta però di nostalgia del passato. È la speranza il motore del discorso. Speranza generata dalla certezza che c’è Qualcosa più forte del limite, della pretesa avanzata da “certe ideologie che hanno puntato a organizzare la società con la forza del potere e dell’economia; più forte dell’illusione di poter trasformare le pietre in pane. La storia ci dimostra, drammaticamente, come l’obiettivo dello sviluppo, prescindendo da Dio, si sia risolto in un dare agli uomini pietre al posto del pane”. Un’espressione dura ma vera. Pensiamo ai costi prodotti dai totalitarismi, rossi o neri che siano; dal capitalismo sfrenato; dall’insensibilità verso la necessità sociale e morale di un’equa distribuzione delle risorse e della ricchezza… Ad Ancona, Benedetto XVI ha concluso il XXV Congresso Eucaristico Italiano. L’Eucaristia, pane della vita, è punto di partenza per riportare Dio nella quotidianità e per ristabilire rapporti responsabili e solidali. Ancora una volta cielo e terra. Colpisce il linguaggio usato per descrivere gli effetti della comunione eucaristica. Forza che ci strappa dall’individualismo; che fa nascere un’assunzione di responsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria, quindi uno sviluppo sociale positivo con al centro la persona, povera, malata o disagiata. Ciò che rappresenta un culto spirituale genera la concretezza di rapporti nuovi. Per questo l’incontro con una rappresentanza degli operai della Fincantieri in cassa integrazione. Il Papa ha diviso il pane della mensa pranzando con loro. “Chi sa inginocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore, non può non essere attento, nella trama ordinaria dei giorni, alle situazioni indegne dell’uomo”, aveva detto nell’omelia. E così è stato.
(Andrej Sinjavskij, Pensieri improvvisi, Jaca Book, 1978)