Condividi:

Madre

Autore:
Saro, Luisella
Fonte:
CulturaCattolica.it

“Mentre la modernità s’impegna, con immense risorse, a occultare tutto ciò che provoca sofferenza, si dimentica dell’uomo, dell’essere umano che con i suoi limiti, la sua ricchezza, la sua malattia, ci dice: Ci sono! Guardami. Sono tuo figlio, tua figlia. Sono così: amami! Proprio su questo si gioca la sussistenza di entrambi, che non passa di certo attraverso la negazione o l’oscuramento del dolore”.
(F. Cavallari, Vivi. Storie di uomini e donne più forti della malattia, Lindau)

E’ pallida e ha lo sguardo spento, quando la incontro. Quasi ogni volta. Cammina da sola, o in compagnia di S., il primogenito. Se mi vede, si ferma volentieri. E’ gentile, e mi chiede sempre dei miei figli: come crescono, come vanno a scuola…
Li ha visti nascere, i miei figli, perché abitavamo nello stesso condominio, e ormai l’ho capito: ricordare loro quand’erano piccoli, prima che ci trasferissimo, è uno stratagemma inventato dal suo cuore per ricordare “lui”: N., il figlio che non c’è più.
E così, ad ogni incontro, il discorso e il pensiero ritornano a lui: a questo giovane, nato e vissuto con tanti problemi di salute, gli ultimi tempi trascorsi in sedia a rotelle, bisognoso di essere seguito sempre e aiutato in tante cose, e il cui cuore ha cessato di battere cinque anni fa. Anche un pezzo del cuore della sua mamma se ne è andato con lui. Ne sei certa perché te lo ripete ogni volta.
Pensi a quando li vedevi in giro insieme, gli ultimi anni: la mamma che spingeva la carrozzella come fosse un’appendice di sé e N., plaid sulle gambe quando la temperatura si abbassava, e la maschera di un anziano sul corpo di un giovane e su un cuore che sempre è rimasto bambino.
Si accorgeva lui, di te, e ti chiamava da lontano. Ti avvicinavi sorridente, gli davi un bacio, lui ricambiava, e poi sempre le stesse domande sui tuoi figli. Dove sono, come stanno, cosa stanno facendo… Mentre rispondevi, leggevi, in queste domande ripetute e sempre uguali, un’attenzione di sostanza, non come tanti tuoi “come va?” detti distrattamente, incurante, in fondo, delle risposte. Lui ti guardava e non si accontentava di due parole: voleva i dettagli. E così, in quelle soste sul marciapiede o sotto i portici, N. ti ha fatto riflettere su questa cosa strana che è il tempo: sempre troppo poco per te, che hai tante cose da fare e vai di fretta e così rischi di spenderlo male, non accorgendoti di ciò che nella vita conta davvero, e lungo lungo per lui, bloccato in quella sedia a rotelle. Giornate cadenzate dalla fisioterapia e poi… libere.
Era lui ad aver scoperto il segreto della vita, non tu. Aveva capito che gli incontri per strada sono tempo guadagnato. Sempre. Tutti gli incontri tra esseri umani sono tempo guadagnato. Se c’è da tagliare, si taglia altro. Perché ciascuno ha la sua clessidra. E granellini di sabbia contati, che non si sprecano.
Ripensi a questo ora, quando per strada vedi la sua mamma e cerchi di leggere cosa c’è dietro quel pallore e quello sguardo spento. Quando, con lei, il pensiero e i ricordi volano a N., morto a 39 anni, lo capisci. Le riempiva la vita. Non semplicemente le giornate, che ruotavano attorno ai suoi tanti bisogni. La vita.
Dipendeva totalmente da lei, negli ultimi tempi; ed era mille volte “grazie” ogni giorno. E riconoscenza per ogni piccola cosa.
Perdendo, un po’ alla volta, la sensibilità degli arti inferiori, era come avesse capito che nulla si può dare per scontato, che vanno accettati i propri limiti, che nessuno è esentato dal dolore o dalla sofferenza, ma che l’essenza vera dell’esistenza non si misura nel “fare”, ma nel “vivere”. L’aveva compreso a tal punto che la sua camera – rimasta ora esattamente come l’aveva, negli anni, desiderata e allestita lui – è il luogo più prezioso della casa. La sua musica, i suoi passatempi, la sua televisione, i suoi ricordi… tutto parla di lui e racconta ciò che lo commuoveva, lo faceva ridere, gli faceva gustare una bellezza magari diversa del vivere, eppur sempre bellezza.
Era ironico, N. Con la sua famiglia, con gli amici che lo andavano a trovare e con chi incontrava per strada. Ed aveva il dono straordinario dell’empatia, strada feconda da cuore a cuore. Aveva inventato dei nomignoli per la sua mamma, capaci di fotografare ogni suo stato d’animo. E un lessico famigliare che, in casa, fa di N. il più vivo dei vivi.
Aveva i suoi momenti di scoramento, certo. Ma una sola volta, ti ha confidato sua madre, si è arrabbiato sul serio con la vita e con Dio. “Perché proprio a me?”. Aveva urlato, e pianto, allora. E si era barricato in camera. Poi si è scusato, singhiozzando. Si è lasciato abbracciare forte forte dalla sua mamma, ha messo una delle canzoni preferite e quelle note, inondando la casa, han riportato il sereno. Per quel giorno e per sempre.
Riempiva la vita, N., perché in quel corpo, mortificato nel suo aspetto esteriore, a cui erano state rubate forza ed esuberanza, albergavano speranza e allegria. E pazienza. E coraggio da vendere.
E’ più silenziosa, ora, quella casa. Manca la sua musica, mancano le sue risate, le sue chiacchiere interminabili con la mamma, in cucina.
Al posto di N. parlano le sue foto: lui in montagna, lui in vacanza, lui al ristorante, lui con la sua famiglia, lui con gli amici, lui sempre elegante (quanto ci teneva all’ordine, all’abbinamento dei colori… E quella sua mania per le cravatte…) Tutti ricordi che una madre conserva nel posto più segreto del cuore.
E quando la nostalgia sembra insopportabile, lei prega e, se può, va in cimitero. Sistema le piante e i fiori e le pare, in questo modo, di averlo vicino e di prendersi ancora cura di lui. Come “prima”.
Un giorno una signora le si è avvicinata, ha scambiato due parole e, forse pensando di offrirle conforto, guardando la foto sulla lapide le ha detto che era meglio così: che N. in fondo era un bene che se ne fosse andato. Quanta sofferenza! Che fatica, per lui, vivere! E che pena, per i genitori, vederlo in quelle condizioni!
Beh, lei l’ha guardata storto e le ha tolto il saluto. Nessuno può permettersi di dire a una madre “meglio così”, quando le muore un figlio. Nessuno!
Racconta con dolore e con rabbia, questa scena in cimitero. Ed è dolore anche quando la gente finge, con lei, che N. sia un figlio mai nato. Gente che le parla di tutto e di niente, come se non nominare la presenza che le è stata più cara possa farle del bene…
Pensi a questa famiglia, a questi volti che, negli anni, sono diventati parte di te. Pensi a N. e a tutti i N. del mondo. La loro storia rammenta al tuo cuore di mamma una cosa che già sa, perché è certezza scolpita da sempre. Ciascuno di loro dà e ricambia amore.
Come i tuoi figli, come tutti i figli. Nessuno escluso.

(NdC): Ho cercato una immagine significativa per questa testimonianza sulla maternità. La mia sorpresa è stata nel trovare una grandissima quantità di immagini. Alcune ve le mostro, vi invito a cercarle, saranno anche per voi una scoperta.

Vai a "Ultime news"