Folgorata da un muro!
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E nuovamente poniamo la nostra creazione al Suo servizio
Che è già Suo servizio creare”.
(T. S. Eliot, Cori da “La Rocca”)

E’ una calamita, quel pannello che rappresenta un muro. Lo guardo e penso che potrebbe essere la sintesi di tutto il Meeting.
Parlo del muro allestito da coloro che, con passione, hanno dato vita alla mostra, imperdibile, “…E rivivrai – Il profeta Ezechiele, la crisi e la speranza”, curata dalla Fraternità San Carlo.
Esci dalla tenda della prima sala e te lo trovi di fronte. Rosso e oro. “E’ la nuova Gerusalemme, città perenne abitata da Dio”, spiega, riprendendo le parole di don Massimo Camisasca, uno dei giovani seminaristi che si danno il turno come guide. “E’ luogo stabile di convivenza tra Dio e uomo, in cui tutto fiorisce perché Dio è presente. La luce, i colori, l’acqua: questa meraviglia è Gerusalemme, allo stesso tempo Gerusalemme presente e futura. L’esperienza di qualcosa che inizia sulla terra, cresce continuamente e si compie oltre il tempo”.
Ascolti e intanto guardi quel muro. E in quel muro vedi il Meeting, tutto. Vedi il lavoro dei curatori, l’impegno dei volontari, l’operosità di coloro che, da un anno all’altro, si incontrano, progettano, organizzano, prenotano, invitano, allestiscono…
Ma in quel muro finto, eppur concretissimo, perché ricorda mattoni veri, posati l’uno sull’altro dall’ingegno e dalla fatica di uomini in carne ed ossa, vedi anche la mostra “150 anni di sussidiarietà”, che racconta “le opere nate dall’iniziativa di tanti ‘io’ che, dal basso e liberamente si sono messi insieme e hanno collaborato a costruire la storia del nostro Paese”.
C’è tutto, in quel muro.
Ci sono le parole del profeta Ezechiele che, ventisei secoli dopo, si rivolge anche al tuo cuore e ti invita a domandarti chi sei e dove si radica la tua speranza.
C’è la tua vita, in quel muro. L’“ora et labora et noli contristari”, imparato da San Benedetto e compagnia preziosa delle tue giornate.
C’è (ti pare di sentirla!), a sorreggere mani che edificano, a valorizzare ciascuna vocazione, a dare senso all’impegno di ogni giorno e alla vita tutta, la frase di Brigida Pastorino, messinese, che nel 1898 ha fondato l’Istituto Figlie di Maria Immacolata e che spesso amava ricordare: “Bisogna dare a Gesù il cuore e il braccio. L’orazione con la vita interiore sia il cuore; le occupazioni esteriori, gli uffici di carità e di misericordia da esercitare quotidianamente siano il braccio. Perciò il motto dell’Istituto sia ‘Tutto in Dio’. Esso ne specifica bene la vita e il fine”.
In quel muro che così potentemente cattura il mio sguardo è raccontata la dignità e la sacralità del lavoro, di ogni lavoro, come si legge in uno dei pannelli della mostra. “Dio si è messo al lavoro realizzando l’universo, poi l’ha donato agli uomini. Il lavoro è costitutivo della natura umana ancora prima di essere corrotta dal peccato di Adamo. Con il nostro lavoro collaboriamo al suo, portiamo avanti il suo disegno. Per questo il lavoro ci fa sentire grandi e provoca in noi soddisfazione. Dio ha fatto l’uomo re della creazione, perché la custodisse, perché utilizzasse la sua energia e, soprattutto, perché la migliorasse e la rendesse più bella. Cosa sarebbe l’Italia senza gli uomini che l’hanno riempita di vigneti, castelli e cattedrali? Dio ha creato le stelle, ma lascia all’uomo il compito di inventare il telescopio per contemplarle meglio. Dio ha creato il mare, ma lascia all’uomo il compito di costruire navi che ne solchino le acque e ne esplorino le profondità. Il lavoro umano diventa così continuazione della creazione di Dio ed esprime la relazione dell’uomo con l’infinito”.
Guardo dunque quel muro e il cuore si riempie di gratitudine e di speranza.
Il rosso che vedo è il fiume della visione di Ezechiele. E’ la storia dell’amore che Dio ha giurato al suo popolo. L’amore fedele di un Dio che quando promette è per sempre. “L’ho detto e lo farò” (Ez 37). E’ la tradizione. E’ la storia dei santi e dei testimoni che ci indicano il cammino. E’ fiume che, sgorgato dal costato trafitto di Cristo, si ingrossa e tutto ciò che incontra risana.
“Lungo il fiume, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui fronde non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina”. (Ez 47, 12)
Piccola come l’orfana presentata nel video della prima sala della mostra, come l’ultima fra le donne, me ne sto in piedi, sola, davanti a quel muro. Piccola e misera, mi sento, però, amata e desiderata. Figlia prediletta.
“Non solo Dio ci ha creati, ma ci ha scelti, ci vuole”, ricorda la guida. “Questa sua presenza è la nostra immensa certezza. Da questo rapporto si può ripartire”. Sempre.