GMG: non è una Woodstock cattolica
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Dal 1986 i giovani di tutto il mondo sono chiamati a partecipare alle “Giornate della gioventù” che ad anni alterni vengono celebrate, a livello locale, la Domenica delle Palme, e a livello mondiale con incontri nei vari continenti presieduti dal Papa.
Sia per l’elevato numero dei partecipanti che per le problematiche sollevate nelle varie catechesi questi eventi, definiti da Giovanni Paolo II “provvidenziali momenti di sosta”, beneficiano solitamente di un’ampia copertura mediatica. Raramente cronisti e opinionisti riescono però a cogliere lo spirito autentico che li anima, spaziando da inutili trionfalismi a commenti fuorvianti caratterizzati dall’uso ricorrente del termine ”papaboys”. Letture altrettanto superficiali pescano nel recinto della sociologia riducendo l’evento della Gmg a una sorta di Woodstock cattolica, come se ci si trovasse di fronte a una massa di invasati accorsa attorno al proprio guru. In effetti, non si può negare che agli occhi di un osservatore esterno l’entusiasmo dei giovani per il Papa sembra talvolta sconfinare in una sorta di culto della personalità. Tuttavia questo rischio, sottile e pervasivo, è sempre stato dissipato dalle domande incalzanti dello stesso pontefice: “Che cosa siete venuti a fare?”.
Come in altre occasioni, anche in un raduno di tale portata capita di vedere un po’ di tutto: allegri devoti e anime in pena, boys scout e finti rasta, mistici e gaudenti tutti insieme appassionatamente, tentati e talvolta sopraffatti da un clima festaiolo dai facili entusiasmi o da interessi di puro svago turistico.
In fondo, anche le folle che si erano messe in cammino sulle strade polverose della Palestina per ascoltare le parole di Gesù erano alquanto variegate, tanto che erano parse agli occhi del nazareno “come greggi senza pastore”. Erano attratte da lui ma non avrebbero saputo dire il perché. Proprio come allora, sulle sponde del lago di Tiberiade, anche alle Giornate mondiali una folla di persone si è sentita rivolgere la stessa domanda: “Cosa cercate?” “Venite e vedrete”.
In questo senso non si va alle Gmg per il Papa, ma per ascoltare attraverso il Papa un invito che ancora oggi viene rivolto a distanza di secoli. Non spettatori indistinti di un show coinvolgente che si consuma in poche ore, ma singole persone investite da una proposta che provoca e sollecita la libertà di ciascuno. Non massa dunque, ma chiamati per nome, destati da una promessa di felicità che non si accontenta dell’attimo fuggente, ma che è in grado di cambiare la vita suscitando, nella fatica del rientro, il desiderio di rimanere fedeli a quella chiamata e a quel cammino.
Benedetto XVI, nel suo libro-intervista “Luce del mondo”, affronta la questione dei mega-raduni domandandosi: “È giusto offrirsi sempre alle folle e farsi acclamare come una star? D’altro canto le persone hanno il grande desiderio di vedere il Papa. Non si tratta tanto della vicinanza alla persona ma del contatto fisico con questo ministero, con il rappresentante del sacro, con il mistero; si tratta di poter toccare con mano il fatto che c’è un successore di Pietro, una persona che deve rappresentare Cristo. Bisogna accettare quella condizione da questa prospettiva e non considerare l’acclamazione come un complimento rivolto alla persona”.
Come gli antichi pellegrini sentivano l’esigenza di vedere e toccare la roccia del Santo Sepolcro o la tomba di un martire, così anche noi abbiamo toccato con mano l’universalità della chiesa. Abbiamo sperimentato una capacità di contagio in grado di travalicare le differenze linguistiche e culturali. Abbiamo incontrato giovani di tutto il mondo, che si riconoscevano al volo nelle strade e sui metrò, cantando e salutandosi a gran voce tra lo stupore e la curiosità dei passanti. Un “ciao” all’italiana, e con la stessa simpatia ricambiato, era sufficiente a far cadere all’istante tutte le barriere. Senza bisogno di interloquire si capiva che si era tutti lì per lo stesso motivo: trovare qualcuno che ci indicasse la strada da seguire.
Non possiamo negare i momenti di disagio, e a volte anche di nervosismo, per le innumerevoli code ai bagni, la condivisione dei pasti, la fatica di camminare sotto il sole torrido o i viaggi sui mezzi pubblici stipati come sardine. Zeppi di polvere e sudore, certi però che ne sarebbe valsa la pena.
Il tutto culminava con l’arrivo nell’immensa spianata predisposta per la veglia finale e la notte all’addiaccio, con l’accoglienza del Papa preceduta da una festa di bandiere e inni, un vento di colori e lingue in grado di avvolgere e coinvolgere, nell’attesa di ascoltare parole antiche e sempre nuove, come quelle pronunciate da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo dei Giovani a Roma:
«Cari giovani, se siamo qui oggi, è perché ci riconosciamo nell’affermazione dell’apostolo Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv, 6,68).
Di parole intorno a voi ne risuonano tante, ma Cristo soltanto ha parole che resistono all’usura del tempo e restano per l’eternità. La stagione che state vivendo vi impone alcune scelte decisive: la specializzazione nello studio, l’orientamento nel lavoro, lo stesso impegno da assumere nella società e nella Chiesa. È importante rendersi conto che, tra le tante domande affioranti al vostro spirito, quelle decisive non riguardano il “che cosa”. La domanda di fondo è “chi”: verso “chi” andare, “chi” seguire, “a chi” affidare la propria vita.
Voi pensate alla vostra scelta affettiva, e immagino che siate d’accordo: ciò che veramente conta nella vita è la persona con la quale si decide di condividerla. Attenti però! Ogni persona umana è inevitabilmente limitata e non si può non mettere in conto una certa misura di delusione. Ebbene, cari amici: non c’è in questo la conferma di quanto abbiamo appena ascoltato dall’apostolo Pietro? Ogni essere umano, prima o poi, si ritrova ad esclamare con lui: “Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”.
Solo Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio e di Maria, il Verbo eterno del Padre nato duemila anni or sono a Betlemme di Giudea, è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore umano.
[…] In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna. È Lui, Cristo!
[…] Tornando a casa, non disperdetevi. Confermate ed approfondite la vostra adesione alla comunità cristiana a cui appartenete. Da Roma, dalla Città di Pietro e di Paolo, il Papa vi accompagna con affetto e, parafrasando un’espressione di santa Caterina da Siena, vi dice: «Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!»”.