Il centuplo quaggiù, semplicemente
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E’ un caldo pomeriggio di luglio, mentre, in bicicletta, seguendo l’argine del fiume, raggiungo la splendida cattedrale paleocristiana di Concordia Sagittaria.
Non ho conosciuto questa signora di 74 anni, che sapevo malata da tempo. Mai vista. Pedalo e penso che è luglio, che sto andando al funerale di una persona anziana e che, come spesso capita, ci sarà poca gente. In realtà, è vero che le navate laterali sono in restauro e dunque transennate, ma, ad accogliermi, scopro, stupita, l’abbraccio di una chiesa piena. Nemmeno più un posto a sedere, e mancano dieci minuti alle sedici. Gente in piedi; gente anche fuori, ad attendere l’arrivo del feretro.
Entro. Non capisco la ragione di tutta quella gente, ma subito mi sento “in famiglia”, pur tra facce sconosciute. Ed inizio a pregare, grata semplicemente per ciò che sta provando il cuore.
Qua e là scorgo colleghi, ma è impossibile spostarsi e mettersi vicini. Fa lo stesso, mi dico. E lo dico perché lo penso veramente. Fa lo stesso.
Durante l’omelia, comincio a capire. Il sacerdote racconta l’affezione grande di questa donna a Cristo e alla Madonna; la sua sequela fedele alla Chiesa. Racconta quanto amasse la vita e – da ostetrica – come avesse sempre difeso con tenacia la sua inviolabilità.
Colgo, nelle parole del parroco, quanto, sempre, ha amato anche la sua, di vita. Da sana ma anche da ammalata.
Sento che è stata lei, insieme ad altri, a promuovere, qualche anno fa, l’Adorazione eucaristica il terzo venerdì del mese, con la chiesa aperta tutta la notte.
Sento quanto è stata vicina e compagna di cammino di tante persone con cui ha condiviso gioie e fatica. E di quante volte, con discrezione, ha aiutato altri a portare – e ad offrire – la croce.
Sento tante altre cose di (e su) questa donna semplice che, senza clamore, affidandosi sempre alla Provvidenza e mendicando, instancabile, l’intercessione dello Spirito Santo, ha visto fiorire la vita, tanto da rendere “l’eroico quotidiano e il quotidiano eroico”. E mentre ascolto e pian piano comprendo perché, in un caldo pomeriggio di luglio, in chiesa ci possa essere così tanta gente, mi rendo conto che, davanti a me, ho la prova tangibile che è proprio vero che l’albero si vede dai frutti!
Un po’ mi dispiace non aver incontrato questa persona “speciale”, che ha lasciato la sua impronta indelebile nel volto e nella vita della mia amica e delle tante persone che hanno avuto la grazia di incontrarla; ma più del dispiacere di non averla conosciuta, mi accorgo che il mio cuore in realtà è grato per la cosa assolutamente im-prevedibile che è accaduta lì, in chiesa. A me e, ne sono certa, non a me sola. Un “incontro”. Strano, sui generis, eppure un incontro. Vero che più di così non si può. Segno che i testimoni di fede più autentici sono coloro che non fermano su di sé lo sguardo di chi hanno di fronte. La loro vita, tutta, rimanda ad altro: ad un Altro.
Al funerale mi è capitato questo. Una signora che non ho mai visto e che mai potrò vedere, e che pure ha donato un seme buono al mio cuore, invitandomi a guardare non a terra: alla bara, semplicissima, che custodisce ora le sue spoglie, ma ad alzare lo sguardo.
Lei, lì ma non più lì, e tutta quella gente in preghiera, accanto a me, segni concreti della bontà e della verità del cammino intrapreso. Segni di un percorso di santità possibile.
E’ accaduto ad un funerale, in un caldo pomeriggio di luglio. Ho visto cosa significa “il centuplo quaggiù” ed ho sfiorato… l’eternità.