Gli astronauti e il Papa
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Giorni fa si è verificato un importante e imprevisto evento culturale: il dialogo tra Benedetto XVI e gli astronauti della Stazione Spaziale in orbita. Si è trattato di vera cultura sia per i protagonisti, definiti dal Papa “la punta avanzata dell'umanità che esplora nuovi spazi e nuove possibilità per il nostro pianeta”, sia perché ha contribuito a chiarire il compito della cultura: la promozione dell’uomo. Cordialità non formale e sincero reciproco apprezzamento sono stati i tratti umani che hanno intessuto il dialogo a distanza tra i due equipaggi impegnati nella missione e il Santo Padre. Lui poneva le domande, loro, dallo spazio, rispondevano. Il Papa in ascolto. Poter assistere in diretta al collegamento ha rappresentato una visione decisamente interessante e incoraggiante per una considerazione sul rapporto tra scienza e fede. Un rapporto continuamente messo in discussione e contestato dall’ ideologia laicista più che da fattori interni ai due ambiti di conoscenza della realtà. A noi post moderni occorrerebbe la lealtà di riconoscere che la contrapposizione tra scienza e fede non sta né nella scienza né nella fede, bensì nella posizione che si assume di fronte ad esse. Lo dimostra la storia presente e passata. La realizzazione stessa del collegamento non avrebbe alcuna giustificazione senza un riconoscimento reciproco. È una decisione a priori che pone la distanza. Dall’Illuminismo in poi questo pregiudizio si è radicato nella mentalità dominante e si è taciuta la posizione religiosa di tanti scienziati che hanno riconosciuto il Mistero di Dio Creatore. Un principio scientifico non si oppone alla fede che, a sua volta, non si considera estranea alla ragione scientifica. Lo stupore, l’ammirazione che gli astronauti hanno dimostrato, chiarisce bene il rapporto tra le due. Il Papa ha rivolto domande profonde e insieme semplici, come è tipico di Benedetto XVI, che assume sempre una posizione umile pur disponendo di un sapere vastissimo. Gli astronauti, da parte loro, hanno dimostrato una forte sensibilità per la dimensione spirituale racchiusa nella loro missione. Osservando dall’alto la bellezza del pianeta blu, ha detto Roberto Vettori, il mio cuore è catturato. “E allora prego: prego per me, per le nostre famiglie, il nostro futuro”. L’eco del Salmo 8, “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi”, è risuonato in sottofondo per tutto il dialogo, voce del senso religioso, delle domande cruciali dell’esistenza. Dalle parole di questi uomini è emerso che la scienza dovrebbe porsi con più coraggio al servizio dell’uomo e che “se queste tecnologie (che permettono di sviluppare il potenziale di energia solare) fossero maggiormente utilizzate sulla Terra, probabilmente si potrebbe ridurre anche la violenza”. Essere su una stazione spaziale orbitante realizzata da tanti Paesi in collaborazione internazionale, ha detto l’americano Garan, “ci ricolma di grande speranza e dimostra che lavorando insieme possiamo superare molti dei problemi che il pianeta si trova ad affrontare”. Agli studenti dell’università Cattolica, il Papa ha detto che “solo nel servizio all’uomo la scienza si svolge come vera coltivazione e custodia dell’universo” e che “fede e cultura sono grandezze indissolubilmente connesse, manifestazione di quel desiderio naturale di vedere Dio che è presente in ogni uomo”. Non contrapposizione ma rispetto. La mano di Dio che cerca la mano dell’uomo, come è disegnato sulla medaglia che il Papa ha consegnato agli astronauti italiani.