Il canto del Gallo
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.- Autore:
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Vergogna! Come si potrà mai fare a ristabilire un giusto pensiero per la vita?
Oggi un amico mi diceva: «È inutile che tu scriva su CulturaCattolica.it, tanto chi la pensa diversamente non cambierà posizione»! così si potranno avere opinioni varie come si scelgono i vestiti, o il cellulare o il luogo dove andare in vacanza, e che nessuno si azzardi a giudicare!
Già, Benedetto XVI parlava di relativismo e ora si può capire la terribile e orrenda realtà che sta sotto questa parola. Ho visto su YouTube un video dove si riportava la trasmissione in cui la Binetti e don Gallo hanno parlato di eutanasia, suicidio, DAT… e ho sentito l’affermazione di don Gallo che sosteneva il suicidio come supremo atto di libertà. Peccato che questi teorici estremi non siano capaci di tirare le conseguenze da quello che affermano. Caro don Gallo, perché non ci mostra la sua libertà suprema uscendo subito di scena, magari scegliendo la finestra dell’ultimo piano da cui pontifica le sue idiozie? E con questo consiglio non credo di discostarmi di molto dal Vangelo, quando Gesù parlava dello «scandalo di questi miei fratelli più piccoli».
Veramente non è più sopportabile ascoltare persone che tradiscono così palesemente la condizione sacerdotale che li contraddistingue. E che in nome della povertà (degli altri) riempiono la vita (propria) di ricchezza – e non mi riferisco solo a quella economica, di cui non so e non mi interesso.
È evidente che «soltanto un Dio ci potrà salvare», che potrà aiutarci a rinsavire e ricominciare ad amare la vita. Quella vita che i tanti clandestini, fuggiaschi dai paesi della guerra cercano con tanta tenacia, al punto di rischiarla per una speranza di vita migliore.
Come ricorda Benedetto XVI citando nella sua enciclica Spe salvi Kant: “Nel 1794, nello scritto Das Ende aller Dinge (La fine di tutte le cose) appare un'immagine mutata. Ora Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro natura, perversa. Scrive al riguardo: «Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore [...] allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un'opposizione contro di esso; e l'anticristo [...] inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull'egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l'aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose »”: ecco, sembra che si avvicini «la fine (perversa) di tutte le cose». Come vorremmo non essere tra coloro che la favoriscono.
Per questo corriamo il rischio di scrivere su CulturaCattolica.it, sperando che non il pregiudizio, ma il sereno confronto possa trionfare.
Ho trovato questo bellissimo articolo di Carlo Bellieni (Il suicidio è una falsa libertà e gli Stati che lo permettono degli illiberali), e lo suggerisco alla vostra riflessione:
«Un giovane 27enne britannico si è gettato da un ponte a Claviere, in Piemonte, forse per una relazione amorosa finita male; un anziano a Ragusa si suicida facendo esplodere una bombola di gas. Sono due dei vari avvenimenti delle ultime ore che annunciano suicidi e che ci lasciano sgomenti, perché sentiamo che nel suicidio c’è realmente una profonda ingiustizia. E’ un sentimento di orrore e di solitudine, di sconfitta e tristezza che si poteva evitare, che non ha trovato un appiglio, un sostegno amichevole, un ultimo disperato abbraccio. Per questo diciamo che il suicidio non è un atto di libertà, perché non si è liberi quando si è abbandonati, quando si è schiacciati dalla solitudine. E per questo non accettiamo l’idea del suicidio assistito, che invece per molti media alla moda sembra un gran passo di autonomia della persona e di libertà.
Proprio in questi giorni apprendiamo che in Svizzera, patria del libero suicidio assistito, con annesso turismo “suicidiatico”, si stia per trasmettere un telefilm la cui trama rispecchia la storia di un ragazzo giovane che resta paraplegico e viene aiutato dai parenti a morire, come è sua volontà, con corteggio di lacrime, solidarietà e pietas nazional-popolare. Al tempo stesso apprendiamo che ormai si ricorre al suicidio assistito non perché malati terminali, ma “per non morire di vecchiaia”, che i suicidi assistiti in Svizzera sono in aumento, e che anche in Italia c’è chi non vede l’ora che questa pratica diventi legale da noi.
Ma come si fa a pretendere la libertà di suicidarsi in ospedale e al tempo stesso a rammaricarsi per il suicidio dal ponte sull’autostrada? E’ un paradosso che fa crollare qualunque pretesa liberalizzazione: chi approva il primo suicidio e disapprova il secondo sa dirci chi è autorizzato a decidere chi è degno di suicidarsi o meno? Se il suicidio è libertà, perché preoccuparsi per il loro dilagare, e su che basi ammettere o estromettere una persona da quello autorizzato dalla legge? Tanto vale approvare tutti i suicidi, anche quello del ragazzino abbandonato dalla fidanzata o quello della ragazza che va male all’università. Chi è il giudice laico del cuore altrui?
Il tragico è che, in nome della solitudine innalzata a sommo tribunale e chiamata poeticamente “autonomia”, nessuno sarà mai più autorizzato a salvare il suicida, dato che fior di politici oggi spiegano che a decisione presa, ogni interferenza è illecita: e certo un poveraccio che si butta sotto il treno, la sua decisione l’ha presa. Per aver evitato un suicidio, due carabinieri di Nocera Inferiore hanno ricevuto poco tempo fa un encomio solenne; e chi glielo ha dato ha fatto bene, dato che con l’aria che tira ci si può aspettare che chi salva il suicida invece di un premio, si prenda una denuncia.
Il suicidio è un richiamo alla compagnia e alla vita, un grido di aiuto, che chiede una risposta. Che si incrementino le cure per tutti, soprattutto per le persone con disagio mentale, per le persone abbandonate e in difficoltà. E si smetta di dire che tutto quello che decidiamo nella nostra solitudine è fatto bene. Troppo facile per gli Stati aprire al suicidio, che li deresponsabilizza dall’obbligo della solidarietà.»
Guarda il parte del video su YouTube
http://www.settemuse.it/index.htm