Carabinieri picchiati da quattro giovani
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Quattro ragazzi di ritorno da un rave party a Sorano vicino Grosseto, vengono fermati dai carabinieri, Matteo ha 19 anni, gli altri tre tra i quali una ragazza sono minorenni, picchiano i due carabinieri che stanno facendo il verbale, uno è in fin di vita, l’altro rischia di perdere un occhio.
Scappano, non si fermano all’alt di un’altra volante e vengono fermati e arrestati, chi guida è in stato di ebrezza e in auto ha della droga.
Ragazzi normali, dicono i genitori sbigottiti, che non sapevano nulla del rave party a cui erano stati i loro figli.
I genitori di Matteo, il ragazzo maggiorenne, sono separati, il padre non vuole vederlo, dice che non saprebbe cosa dire a un figlio che si comporta con tanta ferocia nei confronti di gente che sta facendo il proprio dovere. La madre si dice incredula, alcol e droga le sembrano non appartenere alla vita di quel figlio per bene.
A Jesolo, torneo di Pasqua, un gruppetto di genitori dei ragazzi della Fidene Calcio, club romano categoria dilettanti, età media tra i 16 e i 17, si mettono a bordo campo e prima ancora del fischio d'inizio, insultano l’arbitro, fanno gestacci, sino alle minacce di morte, si chiama il 113, dopo tre minuti di gioco, l’allenatore per la vergogna ritira la squadra, l'arbitro cerca riparo negli spogliatoi che nel frattempo sono stati distrutti da quel gruppo di genitori, grande esempio di sportività e sano agonismo.
Due facce della stessa medaglia, di un mondo che ha perso ogni riferimento.
Un mondo dove il - tutto subito - è degli adulti e quindi anche dei ragazzi, nessuno educa più, perché educare richiede tempo, pazienza, sapienza, capacità di rischiare, aspettare frutti che a volte si colgono e altri no, perché sono l’esito della libertà.
Dove non c’è rispetto per l’adulto, per l’autorità, per chi sta facendo il suo lavoro, non c’è senso del limite, non esiste più nulla che sia male e di conseguenza non esiste più il bene.
Gli adulti non sono più "coalizzati" per un comune obiettivo, educare, con i gesti, le parole, la vita.
Ognuno guarda al proprio "virgulto" come al seme migliore di una pianta rara, e a tutti coloro che gli stanno attorno come a dei nemici da cui difenderlo. Non capisce nulla la maestra che chiede ordine, l'allenatore che lo lascia in panchina, l'anziano che chiede gli sia lasciato il posto sull'autobus.
Ci avete fatto caso che nessuno saluta più entrando in ascensore? Che in sala d’aspetto dal dentista, o alla stazione, si entra e si esce come se tutti fossimo soli in mezzo ad una sconosciuta umanità? Soli e convinti di essere il centro dell’universo, fino a quando qualcosa di brutto o di veramente bello ci stupisce, ci fa fare un sobbalzo, ci cambia lo sguardo sulla quotidianità e quindi sul mondo.
Ed è questo che ci da speranza, che c'è per tutti la possibilità di potersi stupire, di ricominciare a vivere in modo umano, ma dei ragazzi perduti, di quelli che crescono soli in mezzo al caos, che fanno dello sballo da droga, alcol, sesso o musica il loro scopo di vita, perché non hanno avuto qualcuno che gli indicasse altro a cui guardare, della vita perduta di questi ragazzi saremo chiamati a rispondere un giorno.
Perché ogni ragazzo ha bisogno di un adulto, di una guida con cui confrontarsi e scontrarsi, con cui misurarsi per poter dire "io sono".