Primavera di speranza nei paesi islamici?
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La domanda è d’obbligo se la leggiamo con i nostri occhi e con la nostra storia. Purtroppo ciò che sta succedendo in quei paesi non può essere interpretato con i nostri canoni essendo quelle popolazioni governate da sistemi semi-dittatoriali su base tribale e da un impianto socio-politico che si basa sulla visione coranica della vita e della società.
Le rivolte popolari cui stiamo assistendo nascono dalla insofferenza dei giovani istruiti e dalle donne che si stanno emancipando. I sistemi di comunicazione basati sulla rete di internet mettono a disposizione di tutti in tutto il mondo ciò che si sta verificando in tutti i paesi. Oggi, diversamente che in passato siamo abbastanza informati globalmente degli eventi e dove non esiste la partecipazione popolare alle scelte politiche e economiche si creano le condizioni favorevoli alla sollevazione delle frange di popolazione più informata e meno soggetta ai diktat dei dittatori.
Non molti sono informati che i regimi dei paesi islamici essendo basati sulla legislazione coranica sono essenzialmente delle dittature, anche se si fanno le elezioni.
È bene ricordare che la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo dell’ONU non è stata firmata da una cinquantina di paesi musulmani, questo significa che in quei paesi è negata la libertà di pensiero, la libertà di coscienza, la libertà di religione. Anzi chi cambia credo religioso è condannato a morte perché pecca di apostasia, il peggiore dei peccati secondo il Corano.
Dall’altra parte del Mediterraneo ci siamo noi e la nostra Europa, ormai scristianizzata, anzi, governata dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo che stanno lavorando alacremente per eliminare fin dove è possibile dalla legislazione ogni riferimento alle origini cristiane dell’Europa, vedi la Costituzione europea e l’avversione per i simboli religiosi cristiani come il Crocifisso.
L’Europa si presenta sullo scenario delle rivolte disunita e opportunista, anzi, sembrano prevalere gli antichi ardori colonialisti, ovvero approfittare del caos per lucrare rendite di posizione e per trarre profitto a danno di altre nazioni e dei popoli in rivolta.
Lo scenario è impressionante, tutte le antiche terre che hanno visto la prima predicazione cristiana con gli apostoli e i discepoli di Gesù sono in fiamme, la Terra Santa è accerchiata da nazioni dove sta bollendo l’ansia rivoluzionaria della democrazia partecipata e dove l’odio contro i cristiani si manifesta con la violenza degli omicidi e degli attentati contro le chiese e contro i loro fedeli. Vengono incendiate le chiese, le case e le attività economiche dei cristiani con lo scopo dichiarato di farli fuggire, e in effetti a migliaia da quei paesi se ne stanno andando per trovare una vita più serena e confortevole. L’odio religioso fa perdere agli islamisti anche il buon senso economico, dal momento che i cristiani sono mediamente più istruiti e più professionalizzati degli altri, e così l’economia di quei paesi è la prima a rimetterci.
Tutto quanto sta succedendo avrà riflessi importanti sulla nostra missione di sostenitori della Custodia Francescana di Terra Santa che comprende anche il Libano, la Giordania, l’Egitto e Rodi; i nostri fratelli cristiani orientali stanno sperimentando l’attualità del martirio e soffrono per la instabilità e l’assenza della pace. Il nostro papa Benedetto XVI ci invita tutti a lavorare per incoraggiare i cristiani di Gerusalemme, Israele e Palestina, di Giordania e dei Paesi orientali circostanti, e afferma: “Non bisogna mai rassegnarsi alla mancanza della pace. La pace è possibile. La pace è urgente. La pace è la condizione indispensabile per una vita degna della persona umana e della società. La pace è anche il miglior rimedio per evitare l’emigrazione dal Medio Oriente”.
Un esempio di come tutti noi possiamo partecipare per contribuire alla pace nelle terre della prima evangelizzazione ci viene offerta dalla Colletta del Venerdì Santo, la Chiesa di Roma ci invita a pregare in modo intenso proprio nel giorno della morte di Cristo Signore e a essere generosi, per contribuire al finanziamento delle attività delle chiese locali per aiutare i nostri fratelli cristiani a rimanere su quelle terre e a contribuire alla costruzione della pace. Ricordiamolo sempre: i cristiani in quelle terre sono gli unici ad avere dalla loro la cultura della convivenza e della pace.
Sosteniamo la nostra Chiesa e il nostro Papa che non manca mai di rivolgersi anche ai credenti musulmani invitandoli a riscoprire le radici culturali della pace per il bene delle popolazioni e per la loro convivenza pacifica.