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L'«amministratore di sostegno»

Fonte:
CulturaCattolica.it

Mentre il parlamento mette all’ordine del giorno la discussione sul disegno di legge che regolamenta il testamento biologico (già approvato dal Senato), la magistratura continua a ritenere non necessaria una regolamentazione legislativa per consentire a ciascuno di dettare le proprie disposizioni sul fine vita, in previsione di una futura incapacità a manifestarle.
L’ultimo escamotage è quello di utilizzare la figura dell’amministratore di sostegno, designandone uno che agisca in nome e per conto proprio, in previsione della propria futura incapacità, ai sensi dell’art. 408 c.c., al solo fine di dare attuazione alla volontà di rifiutare trattamenti sanitari, compresa l’alimentazione e l’idratazione, per il caso che si venga a trovare nell’impossibilità di decidere.
L’amministratore di sostegno – ossia un terzo designato per “assistere la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi” (come si esprime l’art. 414 c.c.) – diventa, in questa nuova prospettiva, una sorta di fiduciario che garantisca in futuro di manifestare, in nome e per conto dell’incapace, la volontà di rifiutare cure e assistenza, anche qualora ne dovessero comportare la morte.
Lo ha stabilito il Tribunale di Firenze, con una recente decisione dello scorso gennaio, riprendendo quanto già affermato dal Tribunale di Modena con un decreto del 5 novembre 2008: “l’amministratore designato è autorizzato a compiere, in nome e per conto del beneficiario, i seguenti atti: negazione di consenso ai sanitari coinvolti a praticare alla persona trattamento terapeutico alcuno e, in specifico, rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusioni di sangue, terapie antibiotiche, ventilazione, idratazione e alimentazione forzata e artificiali” (così in decreto).
In tal modo, si stravolge la figura dell’amministratore di sostegno, pensato e voluto dal legislatore nel 2004 (legge n. 6) con l’intento di assistere l’incapace o il disabile, a provvedere ai propri bisogni quotidiani di vita, nell’obiettivo di “tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia, con la minor limitazione possibile della capacità di agire” (art. 1).
Ciò che mi colpisce, in queste decisioni, è la tenacia con cui si vuole assicurare l’affermazione di una autodeterminazione/autodistruttiva di rifiuto o di interruzione di un atto di cura o di sostegno vitale, che non ha nulla a che vedere con l’accanimento terapeutico, perché gli interventi elencati nel decreto non possono certo definirsi tali.
Non vi è dubbio che, in questi casi, si chiede all’amministratore di sostegno di garantire l’eutanasia del beneficiario.
Nella decisione si distingue tra “interventi accelerativi del naturale percorso biologico di morte”, per i quali si potrebbe parlare di eutanasia, e invece “rispetto del normale percorso biologico sotto il profilo di non interferenza con il suo corso”, che sarebbero ammissibili. Ci si chiede però in cosa si differenzi detta ipotesi dalla prima. Anche un’aspirina – per essere banali – è in grado di interferire con il normale percorso biologico. Questa idea di rimanere puri da ogni contaminazione o alterazione, alla fin fine, porta a sacralizzare il proprio io materiale e biologico evitando qualunque forma di aiuto esteriore. Ma è la vita stessa che spesso e volentieri richiede sostegni vitali, aiuti, cure e assistenza, anche da parte di altre persone. Anche questi aiuti fanno parte della vita e del suo naturale percorso.
Diverse considerazioni devono invece farsi con riguardo ad ipotesi di accanimento terapeutico, che si hanno quando vengono utilizzate procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo.
L’amministratore di sostegno, quindi potrebbe ottenere che un medico interrompa l’alimentazione e l’idratazione ad una persona, che l’abbia designato a tale scopo, che si trovi in coma. Se dovesse passare detta prassi, per quale motivo, allora, non si dovrebbe tener conto in egual modo della volontà del beneficiario di somministrare una sostanza mortale, in caso di coma?
Per alcune decisioni giudiziali, la volontà dell’incapace dovrebbe essere ricostruita, in base ad elementi probatori concordanti, tenendo conto della sua complessiva personalità che aveva manifestato quando era cosciente, operazione quanto meno ardua decidendosi della vita o della morte di una persona.
Per altre, detta volontà può essere espressa, in nome e per conto dell’incapace, da una terza persona da lui designata proprio a detto scopo.
Questa è la nuova frontiera dell’autodeterminazione.

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