Al di là del muro
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Lo sguardo si sofferma a contemplare le altezze, qualunque sia la materia che le costituisce. Cieli stellati o azzurre distese solcate da qualche bianca nube, cime montuose o pareti architettoniche, non fa differenza. È un fascino che ci ricorda che siamo fatti per qualcosa di grande. Nel nostro sguardo puntato in alto trapela l’aspirazione del cuore all’Infinito. Nel maestoso duomo di Pavia, a metà altezza di un’alta parete divisoria che separa l’ultima campata della chiesa dal resto dell’edificio in restauro, è stata aperta una “finestra”. Si vede un ponteggio inerpicato a ridosso dei grandi pilastri che disegnano le navate. Terza cupola d’Italia per altezza, il duomo ha subìto la ferita del crollo della torre civica che sorgeva a lato della facciata. Da qui la chiusura della cattedrale e l’inizio di un lungo periodo di restauro che speriamo presto completato. Quella finestra aperta, quello sguardo al di là del muro che ci è stato regalato prima che anche l’ultima parte della chiesa venga chiusa per completare i lavori, ha svelato un mondo. In quella apertura ho rivisto la fatica di coloro che nei secoli si sono arrampicati su ponteggi per edificare la Casa di Dio. Una casa che non è fatta solo di pietre e mattoni, ma soprattutto di uomini, di gioia, di lode a Dio e di dolore. La pietra e il ferro, la luce del sole che svela i colori di una materia inerte che aspetta di ospitare di nuovo fedeli e uomini in ricerca, attratti dalla sua maestosità, dall’imponenza delle sue dimensioni, paradossali per una cittadina di provincia. In questi giorni in cui il mondo sanguina, in cui si invoca la libertà nelle piazze e si soffre per la fame, lo sguardo sale in alto, incontra la pietra di una costruzione che ha sfidato il tempo e si interroga. “Che cosa è l’uomo, perché te ne ricordi?”, fa eco il salmo attraverso la maestosità delle volte. Le immagini che giungono dai paesi del sud del Mediterraneo, a un passo da casa nostra, dicono che non si possono mai soffocare totalmente le esigenze di verità, di libertà e di giustizia che costituiscono il cuore dell'uomo, in qualsiasi luogo della terra. Viviamo la storia, drammi e tensioni laceranti, difendiamo ciò che abbiamo costruito, ma cosa cerchiamo in tutto il nostro faticare? Cosa ci dicono le pietre di calcare e quelle di carne e sangue? Cosa ci dicono cristiani e musulmani nelle piazza del Cairo? Le nostre città offrono ad ogni angolo le tracce del nostro passato, un passato spesso rifiutato dalle giovani generazioni che in realtà non lo conoscono. “E' in atto un cambiamento culturale, alimentato anche dalla globalizzazione, da movimenti di pensiero e dall'imperante relativismo, che porta a una mentalità e ad uno stile di vita come se Dio non esistesse e che esaltano la ricerca del benessere, del guadagno facile, della carriera e del successo come scopo della vita, anche a scapito dei valori morali*”. Il potere esercita sulla persona un'influenza profonda che può portare allo smarrimento dei principi elementari che regolano la convivenza umana. Eppure l'uomo è un grido, ha in sé qualcosa, come una finestra aperta su uno spazio di cui nessuno è padrone, neppure chi se lo sente urgere dentro, perché è dato, donato. Non siamo padroni di ciò che ci definisce. Siamo una domanda cui nessun potere potrà mai rispondere o potrà mai cancellare. Anche per questo è un guadagno vivere come se Dio ci fosse.
*(Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la giornata missionaria mondiale 2011)