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Il fatto che è il cristianesimo

Fonte:
CulturaCattolica.it

Viviamo in tempi difficili. Facile dirlo o ammetterlo. Eppure da questo possiamo trarre un vantaggio. Mentre i media pongono la cronaca nera e il gossip al centro del pubblico dibattito contribuendo fortemente alla terribile riduzione della realtà ad opinione; mentre il delitto di Avetrana riempie i palinsesti televisivi ed esperti di turno hanno carta bianca nell’esprimere le più diverse opinioni, si apre una grande opportunità: opporre i fatti. Stare alla realtà quotidiana che è il più grande banco di prova che possiamo immaginarci, in cui far giocare tutte le nostre domande, le nostre risorse e anche i nostri limiti. Realtà significa situazioni da affrontare, problemi da risolvere, scoperte che capitano inattese, incontri, persone da amare e da accettare, meraviglia e ripetitività di gesti che non possiamo evitare, a partire dall’alzarsi al mattino e chiederci che cosa desideriamo, a cosa aspiriamo in tutto ciò che andremo a compiere. La quotidianità è la grande avventura di ogni uomo. Quando in essa si affaccia la prospettiva di una profondità che sfonda l’apparenza e prende spazio il dialogo con la “misteriosità” che la abita, allora l’uomo respira. Perché l’uomo respira, cioè gode, è lieto e spera, solo nel rapporto con l’Infinito, con qualcosa che lo strappa dal limite delle cose che finiscono, che sono polvere, terra o più modernamente, plastica, fatte e finite. Non basta il finito. Mai come oggi occorre fare il cristianesimo perché è un fatto. IL FATTO, un uomo, che ha cambiato la storia, l’unico che può dare profondità al presente che il pensiero dominante vuole di plastica, neppure di terra, ma solo artificiale, ingombrante nella noia che lo accompagna. In una società scristianizzata e secolarizzata come la nostra, il cristianesimo ha la possibilità di mostrarsi per quello che è. Come all’inizio. Torna alla mente la lettera a Diogneto del II sec., in cui i cristiani sono descritti come strani uomini che “abitano il mondo ma non sono del mondo”, non si distinguono dagli altri uomini “né per voce, né per costume”, eppure sono in tutto diversi. “Vivendo in città greche e barbare e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne”. Un fatto nuovo, senza precedenti, che un uomo ha comunicato rendendo più umana la vita di chi l’ha incontrato. “Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo”, dice il Vangelo di Giovanni. Non un discorso o leggi morali, ma “Logos, che significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione” (disc. di Ratisbona). Il coraggio di fare il cristianesimo, di legarsi a Cristo nella Chiesa, di riprendere il rapporto tra fede e ragione per aiutare chi impegna seriamente la ragione nella ricerca della verità, vivere la carità. È il contributo più prezioso contro la malinconia di oggi.

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