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Rifiutare i bambini? “Verde” ma senza speranza

Fonte:
CulturaCattolica.it
Quest’estate sulla famiglia e più in generale sulla denatalità in Italia, su giornali italiani e stranieri, sono stati pubblicati molti articoli, statistiche, interviste.

L’Italia spende per la famiglia l’1,4% (cioè sui 22-23 miliardi di euro) del Prodotto interno lordo, lontana dal 2,1% di media nella Ue a 15 e dal 2% della complessiva Unione a 27; la Germania e l’Austria spendono il 2,8%, la Francia il 2,5% ed i paesi scandinavi oltre il 3%. L’Italia è uno dei paesi col più basso tasso di natalità del mondo e che spende meno per maternità e famiglia. Spesso si afferma l’equazione: pochi soldi per le famiglie uguale scarsa natalità. Ma non tutti la pensano così. Studiosi seri e riconosciuti come tali hanno commentato la situazione italiana diversamente. In particolare Ettore Gotti Tedeschi, professore emerito dell’Università Cattolica e neopresidente dello IOR, ha avuto il coraggio di affermare che la denatalità è legata soprattutto ad un aspetto culturale.
Da decenni la cultura laicista occidentale, appoggiata da giornali e da gruppi economici e scientifici, va invece affermando l’equazione che meno si è numericamente, più si è ricchi.
Per Gotti Tedeschi, e noi condividiamo, questa idea e cultura si sono dimostrate perdenti sotto tutti i punti di vista: economico, sociale, finanziario. La bassa natalità aumenta la proporzione della popolazione che invecchia e quindi le spese sociali, alimenta la crisi abbassando risparmi e consumi, con conseguente aumento delle tasse che senza un aumento della popolazione non possono diminuire, e causa secondo Gotti Tedeschi i presupposti per la crisi economica.
Inoltre una popolazione che invecchia ha meno propensione al rischio, è meno orientata al futuro, a produrre, a cambiare e migliorare la società, a spendere ed a investire. Ciononostante da anni c’è chi predica la denatalità e addirittura la decrescita e, adesso che questo si sta verificando, ci si rende conto che tutto ciò non è affatto meglio, e che invece la società deve puntare sulla crescita demografica ed economica che per secoli sono state alla base dello sviluppo occidentale. La conferma la si può vedere guardando ai paesi asiatici o ai paesi emergenti, o andando a ripercorrere la storia economica dell’Europa, in cui la crescita si è verificata con il contemporaneo aumento della popolazione e della qualità della vita, creando un circolo virtuoso.
Bisogna tornare ad avere il coraggio di guardare al futuro, di rischiare sia dal punto di vista economico che culturale che demografico, puntando all’aumento della natalità.
Chi pensa che per poter fare figli sia necessario uno standard economico di garanzia, pur essendo il fattore economico importante, in verità antepone un discorso un po’ egoistico, che teme che l’aumento dei figli diminuisca il tenore di vita. Esemplare quanto apparso recentemente sull’inserto IO Donna del più importante e diffuso giornale italiano, dove vengono riportate diverse testimonianze che suggeriscono un elogio alla vita senza bambini, cosa non certo nuova, come sottolinea lo stesso inserto che cita libri e film che hanno avuto ampio successo e diffusione. C’è addirittura chi sostiene che il non procreare non è solo un diritto, che non solo ci si risparmiano problemi e spese, ma che è una scelta “verde”. Preoccupanti i dati riportati che evidenziano una tendenza culturale presente nel mondo occidentale; secondo una ricerca citata dalla Hymas, nel 2002 il 59 % degli adulti americani negavano che una vita senza figli fosse vuota (nell’88, erano il 39 %), e solo il 41 %, nel 2007, pensava che i figli fossero centrali nel matrimonio (erano 65 su cento nel ’90). Sempre i bambini e i giovani sono stati il futuro delle nazioni e delle civiltà, allora per evitare che si avveri la previsione un po’ catastrofista del Washington Post, che ha intitolato un articolo “Italy R.I.P” (requiescat in pace) in cui si prevede che nel giro di qualche decennio gli Italiani saranno solo 10 milioni, serve un cambio di politica veramente a favore della famiglia e soprattutto un cambiamento a livello culturale.

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