Non possiamo non dirci cristiani, cattolici
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Leggo Pasolini. “Gli intellettuali italiani sono sempre stati cortigiani. Sono sempre vissuti “dentro il Palazzo”. Ma sono stati anche populisti, neorealisti e addirittura rivoluzionari estremisti: cosa che aveva creato in essi l’obbligo di occuparsi della “gente”. Ora, se della “gente” si occupano, ciò avviene sempre attraverso le statistiche ed i sondaggi. […] Solo ciò che avviene “dentro il Palazzo” pare degno di attenzione e interesse: tutto il resto è minutaglia, brulichio, informità, seconda qualità ...[…] Essere “seri” significa, pare, occuparsi di loro. Dei loro intrighi, delle loro alleanze, delle loro congiure, delle loro fortune; e, infine, anche, del loro modo di interpretare la realtà che sta “fuori dal Palazzo”: questa seccante realtà da cui infine tutto dipende, anche se è così poco elegante e, appunto, così poco “serio” occuparsene. […] Ciò che avviene “fuori dal Palazzo” è qualitativamente, cioè storicamente, diverso da ciò che avviene “dentro”: è infinitamente più nuovo, spaventosamente più avanzato”.
Sono del 1975 queste parole. Forse non parliamo più di Palazzo, forse il termine stesso si è esteso. Oggi possiamo far riferimento alla cultura di massa, al dominio incontrastato del modernismo, a quella realtà virtuale che ci fa discutere, litigare e soprattutto giudicare, manco fossimo Dio.
Ecco in cosa siamo impegnati, noi uomini in buona fede, meschini, ipocriti, piccoli, ignobili. A costruire stereotipi, categorie, classificazioni. Non riusciamo più nemmeno ad accorgercene. Sputiamo sulla realtà, come fosse un accidente di percorso. Non la vediamo. Dice Suor Gloria, “Siamo nella società delle immagini, ma abbiamo perso la capacità di guardare”. Cosa c’è di interessante in quel sondaggio proposto da Swg? Nulla. Assolutamente nulla. Cosa lo rende uno strumento buono? Le persone che hanno deciso di farne un dibattito. Gianfranco Amato prima e don Gabriele in seguito. Sono sempre le persone a destare interesse, mai la loro definizione, o la costruzione astratta della proiezione che qualcuno ha deciso di affibbiare alla loro immagine. Voglio essere provocatorio. Il sondaggio evidenzia, nei numeri, l’esistenza di un pensiero cattolico che tale non è. Ebbene cosa è accaduto? Gli intervistati hanno risposto “sì” o “no” ad una sollecitazione astratta. Numeri, percentuali, uomini senza volto. E’ questa la realtà? Io voglio vedere le persone, toccarle, sentire il loro respiro. La voce delle loro parole. Cosa accade quando lo facciamo? Cosa accade quando spegniamo la televisione, quando la smettiamo di pensare che stiamo vivendo perché aderiamo ad un gruppo su facebook? Scopriamo la realtà. Conosciamo uomini e donne, nomi primi, vissuti, dolori, gioie. La vita. Come pretendiamo di discutere dei temi fondamentali del nostro vissuto, se vantiamo la pretesa di catalogare per concetti astratti ogni esperienza reale? Sto scrivendo un libro sulla vita e sulla morte. Si chiamerà “Vivi”. Non ci saranno statistiche o astrazioni, ma storie di vita reale. Narrazioni come quella di Massimiliano Tresoldi (di cui questo sito ha parlato), di altre famiglie e persone che al cospetto della sofferenza e del dolore, a volte tragico e disperato, onorano quotidianamente la vita. Cattolici, praticanti e non, agnostici, non credenti, atei, buddisti. Uomini! Sono le persone del nostro Paese, quelle che i media ci nascondono, quelle di cui non sentiamo discutere in nessun luogo. Sono tantissime, la maggioranza, quasi la totalità. La loro fatica di ogni giorno, risponde al Magistero della Chiesa, più di qualsiasi riflessione, o dibattito ascoltato e letto, nei luoghi deputati dell’intellettualità. Ho incontrato una donna, la madre di un ragazzo in coma vegetativo da quindici anni, che dice di non essere credente, ma dentro la sua vita c’è l’immagine di Cristo sulla Croce: “Curo a casa mio figlio. Io non posso decidere per la sua vita, non ne sono padrona. Io lo accompagno. Questo è il mio compito!”. Cos’è la sacralità della vita se non questo? Potrei citarne a decine, a centinaia, di testimonianze simili. Cosa vuole dire tutto ciò? Che non possiamo non dirci cristiani, cattolici. Profondamente, intimamente, costitutivamente. Alla faccia dei sondaggi! Poi la Chiesa ha tanti problemi, ma se il suo Magistero oggi è ancora interessante è perché risponde al diritto naturale, a quello che antropologicamente ci determina come essere umani. Se posso dire “sacro” io non credente, è perché il “sacro” non è semplicemente un’icona appesa a qualche muro incrostato di cui ci si ricorda solamente quando qualcuno la vuole staccare. Il Sacro è ciò che mi è indisponibile, che non posso modificare a mio piacimento. Stiamo attenti a non costruirci l’immagine di una società così come ce la vogliono raccontare i “media”, le tendenze intellettuali, i giornali. Bisogna raccontare la vita, incontrare gli uomini, accarezzare le persone. Finiamola di discutere attribuendo un “loro” impersonale a chi è diverso da noi. Siamo tutti “prima” persona singolare. Fabio, Bruno, Claudio, Gabriele, Paola, Gianfranco, Gloria.