Sì, se posso, torno
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Sì, se posso, torno
Torno alla bellezza umile dei gesti giornalieri. Alla verità scarna dei rapporti umani che sono il sale della vita. Alla Presenza possente del Mistero che si chiama Dio.
Il tempo era dei peggiori. Dopo un sabato santo incredibile, con un sole splendido, la sera di Pasqua ci ha fatto ripiombare nel più rigido inverno: pioggia battente mista a neve e la temperatura che scendeva paurosamente di ora in ora vicino allo zero. Loro però sono arrivati ugualmente, fedelissimi all’impegno prendendo con allegria la nebbia, la pioggia e gli implacabili tornanti che, se scoraggiano in un giorno di sole, sono insostenibili in condizioni di scarsa visibilità.
Non ci avevano preannunciato quale fosse il contenuto del testo che avrebbero messo in scena conoscevamo soltanto il titolo: Prima che venga notte e l’autrice: Marina Corradi. Un nome che rappresenta comunque una garanzia.
I primi ad arrivare sono stati Marta Martinelli con il marito Jerry (monzesi doc, come me) e Valeria Guanziroli con Emanuele, il fidanzato. Un grande abbraccio e una fuga sotto la pioggia per organizzare il pernottamento. Con loro lo staff di Almadeira era quasi al completo, mancava solo Cecilia Ravaioli che ci avrebbe raggiunto l’indomani. Poi pian piano sono arrivati gli altri: Carlo Pastori e Mizzi, la moglie, Walter Muto con la moglie Roberta e i tre figli.
Carlo e Walter cantano e recitano insieme da una vita. La loro professionalità è tra le più serie che abbia mai incontrato, seria non solo per la capacità e la competenza, ma seria per l’adesione totale alla realtà, per lo spessore umano e la serietà con cui comunicano – attraverso il cabaret – la grande passione per la vita.
Non ci conoscevamo tutti, anzi per la verità la maggior parte tra noi non si conosceva, eppure sono bastati pochi minuti per capire di essere parte di un grande disegno. A mezzogiorno abbiamo sovvertito le leggi della fisica pur di starci tutti insieme a mangiare nel grande locale che funge da foresteria. Il pasto si è concluso con canti e racconti, proprio come tra vecchi amici. Poi, ciascuno al suo posto, per preparare lo spettacolo.
La scenografia pur nella povertà del locale a disposizione era degna di un teatro vero e proprio e noi, spettatori, tutti lì, attorno. Non c’era confine tra scena e realtà, attori e spettatori. Tutti si era protagonisti. Molti amici ci hanno raggiunti per l’occasione ed è stato bello. Ogni volto che entrava era un pezzo di storia, era una festa.
Lo spettacolo ha commosso fin dalle prime battute. Il testo di Marina Corradi è penetrante dipinge le verità più semplici di grande poesia. Di fatto la rappresentazione ha proprio in questo il fulcro principale: c’è una bellezza nelle pieghe della realtà umile, quotidiana. Anche la più sofferta o noiosa, come la gravidanza, la routine quotidiana, l’anzianità e la nebbia di Milano. Ci sono disastri ingigantiti e miracoli sottaciuti dalle pagine dei giornali. Nello spettacolo si racconta quello di un treno in corsa che, ancora nel Vajont, stava per travolgere migliaia di persone e bambini: si è fermato per un soffio, per una miracolosa quanto insignificante pendenza del terreno. Pochi metri in più di corsa e sarebbe stata la tragedia. Un miracolo che non ha fatto notizia. Perché la bellezza e la speranza non fanno notizia. Come forse non fanno audience queste grandi personalità, che ci circondano, come Carlo Pastori e Walter Muto, come Le Almadeire. Professionisti veri, non noti al grande pubblico eppure segni della grande anima italiana capace di molto con niente. Capace di dare un senso alla vita, là dove - forse - nessuno la saprebbe trovare.
Ci siamo trovati a casa, noi, insieme. E vorremmo valorizzare ancora in futuro questa amicizia, questo incontro, per attirare altri, il maggior numero di persone possibili, tutti: nel vortice della bellezza quotidiana che sta nelle pieghe dei giorni, ma salva, salva dall’angoscia, dalla noia. Salva la vita.
Mi piace chiudere queste note con una scena dello spettacolo, tra le più commoventi, il canto dell’alpino che dice a sua madre: «Se posso torno». Lo abbiamo recepito come un messaggio forte, quasi subliminare: Sì, se posso torno! Se possiamo torniamo ai valori più genuini della nostra storia e della nostra terra. Quelli che non tradiscono mai, che fanno l’uomo più uomo, perché colmi di quella linfa che è la fede nella Presenza dell’Onnipotente.
Eccolo:
«Ma, d’improvviso, ti viene in mente che in uno di quei fienili giù nella valle, nelle tue vacanze di bambina, avevi trovato, fra gli arcolai e le slitte, un elmo. Un elmo da soldato, brunito di ruggine, abbandonato da un tempo per te immemorabile. E su quell’elmo uno sconosciuto soldato aveva inciso con un temperino: “Mamma, se posso torno”. Né inni di vittoria, né minacce al nemico, ma solo quella promessa alla madre, come una preghiera. Dici allora ai tuoi figli di quell’elmo riemerso dai ricordi, così come allora spuntò fra i forconi e le ragnatele. La guerra, è scriversi addosso “Mamma, se posso torno”. Ora intravvedi negli occhi dei figli una compassione: la guerra è dubitare di riabbracciare tua madre. E questo anche un bambino lo capisce davvero».