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Riformismo post-elezioni

Autore:
Spinelli, Stefano
Fonte:
CulturaCattolica.it

In questi giorni l’aria della politica profuma di riformismo. I titoli dei giornali sono quasi monotematici: “ed ora le riforme”, “ora o mai più”, “subito riforme condivise”. Perché questa accelerazione? Perché adesso sì e prima no? Cosa è cambiato?
Probabilmente non è cambiato nulla, se non il fatto che non ci saranno più elezioni generali di questa portata per almeno tre anni. Pare paradossale ma in Italia le elezioni – almeno queste ultime – non servono solo a scegliere la classe dirigente e l’indirizzo politico (in tal caso locale), ma a bloccare il Paese in una estenuante e continua richiesta di rilegittimazione della classe politica di governo. Si pensi a ciò che è successo dalla ripresa dei lavori dopo l’estate scorsa sino alle regionali. Di tutto, di più, come la pubblicità RAI, peraltro anch’essa coinvolta in una discutibile sospensione della programmazione di informazione al fine di non alterare gli equilibri elettorali (regola non vigente in tutto il resto dell’informazione televisiva, ma specie in quella cartacea, che ha detto e sparato su tutto).
Alla fine, le elezioni regionali (quindici regioni in palio) sono diventate il banco di prova non solo per una verifica di governo di metà legislatura – che sarebbe comunque un fine comprensibile nonostante il carattere territoriale delle consultazioni – ma per ridare o meno la stessa dignità a governare ad una maggioranza delegittimata su di un piano più personale e morale, che pubblico e politico (e forse la valutazione potrebbe essere estesa a tutta la classe politica, visto l’alto grado di astensione e la comparsa di liste elettorali di critica complessiva al sistema). Insomma, più che un’elezione amministrativa sembra sia andato in onda l’ennesimo scontro politico su chi abbia diritto a governare il Paese e su chi sia idoneo a farlo.
Esiste infatti un solo altro motivo per il quale ipotesi di riforme, addirittura costituzionali, abbiano dovuto attendere l’esito di elezioni “regionali”? Se queste “s’hanno da fare” governo e opposizione (visto che da ogni parte – a cominciare dal Presidente della Repubblica – si parla di riforma bipartisan) erano già legittimati a farle. Eppure, il giorno dopo i risultati elettorali si è verificato come nelle autostrade quando si riesce a superare il punto di blocco dei lavori in corso. Via libera alle riforme, specie quella della giustizia.
Insomma, riacquisita la legittimazione vi sono tre anni per lavorare, senza step elettorali in grado di logorare l’azione politica e di rimettere tutto nuovamente in discussione (questo mi pare il significato profondo delle elezioni appena trascorse).

Ma di quali riforme si sta parlando?
Le proposte di riforma della giustizia vanno sia nella direzione di proporre modifiche sostanziali, di carattere generale, c’è sul tavolo parlamentare una bozza di riforma del processo penale (ove si ridefinisce il rapporto tra magistrato e polizia giudiziaria e l’avvio dell’azione penale) e di quello amministrativo, ed una ipotesi di riforma dell’avvocatura forense. Ma anche modifiche sostanziali di carattere particolare, come il disegno di legge che ridefinisce la disciplina delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, già approvato alla Camera e che ora riprenderà il cammino in Commissione Giustizia del Senato, volto a limitare il ricorso alle stesse solo a fronte di “evidenti indizi di colpevolezza” (ma il Ministro Alfano si è detto disponibile a togliere il presupposto dell’evidenza) e limitando il periodo di intercettazione (30 giorni, elevato a 60 per i reati di mafia e terrorismo), al fine di evitarne l’utilizzo abnorme ed incontrollato, anche con costi ingenti e diversi da procura a procura che gravano sulla giustizia.
A questo proposito, a parte sottolineare il rapporto assolutamente spropositato tra le intercettazioni disposte in Italia (nel 2008, più di 120.000) e quelle in U.S.A. (circa 7.000), pur nella enorme differenza numerica di popolazione, val la pena porsi una domanda. E’ mai stato non solo condannato, ma anche solo indagato, qualcuno per la pubblicazione dei testi delle intercettazioni che escono quotidianamente sui giornali e che ai giornali saranno pur dati da qualche addetto ai lavori? Si dice sempre – per giustificare l’avvio di indagini – che l’apertura di un fascicolo penale appare come “atto dovuto” in presenza di una notizia criminis. Rivelare atti, come le intercettazioni, coperti da segreto istruttorio (e per la maggior parte assolutamente ininfluenti rispetto all’ipotesi di reato del fascicolo aperto, ma per lo più interessanti per lo scoop politico), è – eccome – una notizia di reato. Per quale motivo non viene mai perseguita?
Altra questione è quella che riguarda il diritto dei cittadini ad avere processi in tempi giusti e certi, che anche l’Europa richiede, di cui si è già parlato anche in questa sede ed il cui iter pare ora aver subìto un rallentamento (dopo l’esame da parte di un ramo del Parlamento).
Quando si parla di giustizia, però, ci si riferisce soprattutto a quelle riforme di cui si parla ormai da tempo, ma che – incidendo su norme costituzionali – richiedono convergenze di voti (per approvare una modifica alla carta costituzionale è infatti necessaria una maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna delle due Camere del Parlamento in seconda votazione, art. 138 Cost.). Si tratta della separazione delle carriere dei giudici (tra magistratura decidente ed inquirente) e dello sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autotutela giudiziaria, il quale pare porsi in posizione conflittuale rispetto alle ipotesi proposte, essendo più volte intervenuto a rilasciare al Governo pareri (peraltro non richiesti) negativi in merito ad esse.
Si tratta di riforme di rango costituzionali, e quindi inevitabilmente da coordinarsi con le ipotesi di riforme istituzionali, che rimangono sullo sfondo e sono ancora tutte da precisare (su forma di governo e giustizia, riduzione del numero dei parlamentari, rafforzamento dell’esecutivo e senato federale, al quale si può aggiungere il progetto di legge sulla reintroduzione dell’immunità parlamentare, già sul tavolo parlamentare, oltre che – ovviamente – federalismo fiscale e la recente questione posta sul tappeto del presidenzialismo o comunque di un rafforzamento ).
Il minimo comun denominatore da cui partire, sembra essere la bozza Violante, ossia il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dalla commissione affari costituzionali della Camera la scorsa legislatura, alla quale fatica a dire di no anche l’opposizione.
Ma la riforma della giustizia prevede anche l’ipotesi di arrestare i tempi processuali per i politici. Il provvedimento che parte in pole position è quello sul legittimo impedimento già approvato in Senato, una sorta di presunzione di impossibilità di presenziare ai processi da parte del Premier in costanza di funzioni, resosi necessario per il naufragio del lodo Alfano, arenatosi sulla decisione – presa a maggioranza dai Giudici costituzionali – di incostituzionalità.
Una riforma della giustizia che non tenesse conto anche di questo secondo aspetto, naufragherebbe a sua volta, essendo un condizione vitale posta dalla maggioranza, quella di consentire al Presidente eletto (e riconfermato sostanzialmente in queste elezioni) di “stoppare”, rinviandoli, i procedimenti giudiziali nei suoi confronti.
Per questa modifica non è necessaria una convergenza politica, ma richiede comunque l’avallo istituzionale del Presidente della Repubblica che potrebbe rinviare la legge al Parlamento in sede di promulgazione (come avvenuto l’altro giorno per il decreto delegato sul lavoro, in materia di arbitrato, le cui norme inciderebbero direttamente sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e sulla disciplina dei licenziamenti).
Insomma, la strada delle riforme non è in discesa. Una buona parte delle condizioni di riuscita dipendono – oltre che ovviamente dalla maggioranza e dalla sua capacità di lavorare per rimanere entro una cornice istituzionale, senza forzature che costringerebbero l’ordinamento in formule non adeguare o esorbitanti costituzionalmente – anche dalla stessa opposizione, la quale deve ancora decidere se far prevalere quella parte di essa che considera il Premier non legittimato a governare e con il quale nessuna riforma dovrebbe avviarsi.

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