Uno sguardo buono sulla vita
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L’anniversario della morte di Eluana Englaro ha riacceso il dibattito sulla problematica del fine vita. Le posizioni emerse un anno fa sono ugualmente perseguite con tenacia oggi. Non tutto però è come prima. Ora sono disponibili informazioni nuove che possono far cambiare opinione a coloro che non sono pregiudizialmente a favore o contro la vita. È notizia di questi giorni che in Belgio un uomo si è risvegliato dopo 23 anni e un altro, grazie a una nuova tecnica di risonanza magnetica, ha manifestato segni di facoltà psichica, arrivando a “dialogare” con i medici attraverso il cervello. Questo fatto dimostra la possibilità di verificare l’attività cerebrale di chi che si trova in “stato vegetativo”. Il passare del tempo rende pertanto inequivocabile che la scelta, a favore della vita o della morte di fronte a situazioni estreme e umanamente drammatiche come quella di Eluana, non dipende in ultima analisi dalle indicazioni dei dati scientifici piuttosto che dal sentimento di pietà, quanto dalla concezione antropologica che ci distingue. La lettura del libro di L. Bellaspiga e P. Ciociola, Eluana. I fatti, rende chiaro il problema. La decisione che prenderemo potrà essere anche suffragata dalla scienza, ma dipenderà dalla concezione che abbiamo della dignità della persona e dalla possibilità che la sofferenza abbia un senso. Se questo ci fosse abbastanza chiaro usciremmo facilmente dal problema di difendere o accusare un padre, per concentrarci invece sulla necessità di promuovere una nuova antropologia che, come espresso da mons. Fisichella, “dia maggiore spazio alla razionalità e trovi fondamento (come accadeva già prima che ci fosse il Cristianesimo) nella legge naturale”. A lato, poi, ci sta la questione, tutt’altro che marginale, della correttezza dell’informazione. Su Eluana sono state dette molte scorrettezze. Anche questo ha un peso non indifferente e non favorisce un affronto corretto. L’inviolabilità e l’indisponibilità della vita sono il fondamento di questa antropologia che propone una visione integrale della vita e della persona. Se, invece, la visone della vita porterà a ritenere “non degna di essere vissuta” una condizione di handicap grave, o “uno stato vegetativo persistente” o altro ancora, la scienza non avrà nulla da dire a favore della vita, perché i suoi dati sono filtrati dalla nostra coscienza cui la scienza non può togliere la libertà di riconoscere o negare. Per questo è importante l’educazione e per questo la fede non è in contrasto con la scienza, perché apre a una categoria di possibilità in più che salva la razionalità stessa. “In dubio pro vita”, viene da dire sulla riga di un antico principio. L’esordio della Caritas in veritate offre una riflessione interessante. “La carità nella verità di cui Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto con la sua morte e resurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo della persona e dell’umanità intera. L’amore – caritas - è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità…” Quello che ci serve per vivere.