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La piazza di don Carlo

Fonte:
CulturaCattolica.it

La bella piazza del Duomo di Milano, illuminata da un sole ancora caldo, domenica ha posto sotto gli occhi di tutti che parlare di radici cristiane non è il passatempo di nostalgici cultori del passato. Abbiamo partecipato a un fatto, ne abbiamo giudicato il valore, abbiamo preso coscienza. Ecco di cosa siamo fatti. Siamo un popolo generato da una storia di santi. Sappiamo ritrovarci uniti a fianco di uomini che hanno fatto della loro vita un dono, che hanno lottato per il bene di tutti, “a difesa della vita, sempre”, come diceva il motto della beatificazione di don Carlo, il santo dei mutilatini, il compagno degli alpini nei drammatici momenti della guerra tra le nevi della Russia, il sacerdote instancabile che ha cercato il meglio per i suoi bambini raccolti spesso dalla strada, anticipando i tempi. È opportuno ricordare che le fondazioni ospedaliere all’avanguardia in Italia, basti pensare a San Giovanni Rotondo, sono legate a figure di santi. Anche questo è un elemento delle nostre radici, profonde, più di quanto crediamo, anche se le nostre giornate trascorrono con lo sguardo rivolto da un’altra parte, distratti prima di tutto da noi stessi. Poi la realtà ci riprende e ci mette davanti un uomo che ci ricorda che abbiamo un destino, che tutti siamo chiamati alla santità, cioè alla felicità, alla pienezza della vita. “Sono innamorato del mistero di ogni persona umana e della sua libertà”, diceva don Carlo. Questo sentimento pieno di affetto ha mosso il suo agire e ha cambiato il mondo intorno a lui, ha cambiato la storia. E poi il suo corpo, esposto nella teca sulla piazza, più eloquente che mai. Ci ricorda che niente di noi va perduto, tutto è per la gloria. Il cristianesimo è la glorificazione della carne. Don Carlo ha insegnato ai bambini ad offrire ogni sofferenza per amore di Gesù che ci ha salvati con la sua passione e la sua croce. Non poteva sopportare che “il tesoro più prezioso di un diamante di inestimabile valore”, cioè, il dolore innocente, “cadesse nel vuoto, inutile e insignificante perché non diretto all’unica meta nella quale il dolore di un innocente può prendere valore e giustificazione: Cristo crocifisso”. Se pensiamo che la modernità sia “svecchiarsi” dal cristianesimo, se ci illudiamo di una strada alternativa all’imitazione di Cristo, basta prendere in mano la storia di un santo per renderci conto della vanità di una modernità sterile di proposte che facciano alzare lo sguardo, che inducano un pensiero per la grandezza della dignità umana. Celebrare la festa di Ognissanti è celebrare la festa della nostra umanità salvata per i meriti di Cristo, cui vogliamo aderire con la nostra ragione, libertà e cuore.

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