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La Consulta e il lodo Alfano

Autore:
Spinelli, Stefano
Fonte:
CulturaCattolica.it
Ê sempre stata preoccupazione del nostro sito dare una comunicazione su tutto secondo un criterio unico (Mille argomenti. Un solo giudizio). Grazie al nostro amico Stefano Spinelli, Avvocato e Cassazionista, offriamo ai nostri visitatori uno strumento per giudicare ciò che sta accadendo in Italia.

Con una decisione assunta a maggioranza, la Corte Costituzionale ha bocciato il lodo Alfano (l. 124/2008), che prevede la sospensione del processo penale nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato (Presidente della repubblica, Presidente del Consiglio, Presidenti di Senato e Camera), durante il mandato di svolgimento delle loro funzioni costituzionali.
Decisione tecnica o politica?
Se per decisione politica si intende che essa ha riflessi sull’azione (oltre che del Parlamento, una cui legge è stata dichiarata incostituzionale) del Governo del paese, il cui Presidente è chiamato a difendersi in numerosi processi a suo carico durante il mandato, con una anomalia rappresentata dal numero elevatissimo degli stessi, è chiaro che la sentenza ha ripercussioni politiche (la circostanza era già stata evidenziata anche nelle stesse memorie difensive dell’Avvocatura; e la Corte ne era ben consapevole. Ma ciò rientra nelle conseguenze normali del corretto esplicarsi dei rapporti di reciproco equilibrio e controllo tra gli organi costituzionali.
Mi pare debba invece respingersi l’idea che la decisione della Consulta possa aver sacrificato le ragioni tecnico-giuridiche, al conseguimento di un certo esito politico. Dunque non vi è alcuna vittoria politica da festeggiare (alla Di Pietro), ma neppure alcun complotto politico da stigmatizzare.
Ciò premesso, vero è che la sentenza lascia perplessi su alcuni aspetti.
Subito le prime reazioni sono state di stupore nel constatare che la disposta incostituzionalità della legge fa riferimento al suo contrasto con l’art. 138 Cost. (che dispone la procedura per l’assunzione di leggi di revisione costituzionale e di nuove leggi costituzionali); ossia, lo “scudo” per le più alte cariche dello Stato, avrebbe dovuto essere assunto per legge costituzionale (con una procedura di approvazione aggravata) e non per mera legge ordinaria.
Lo stupore nasce dal fatto che una norma di analogo contenuto era stata assunta con l. 140/2003, nei confronti della quale era già stata sollevata questione di legittimità costituzionale, accolta sulla base dei principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto di difesa (art. 24 Cost.); ossia, la Corte aveva sindacato nel merito la norma incriminata, ma non aveva affatto detto che si sarebbe dovuto procedere con la procedura aggravata prevista per la revisione della costituzione (sul punto aveva taciuto).
E’ ovvio che la questione formale sul “tipo” di atto da assumere (legge costituzionale o legge ordinaria), è questione logicamente precedente e pregiudiziale a qualunque altra valutazione di costituzionalità.
In sostanza, è inutile andare a sindacare se la norma, così come formulata, rispetti o meno la costituzione, nel caso in cui sia sbagliata addirittura la procedura seguita per la sua assunzione. E’ come se un giudice andasse a misurare le finestre di un appartamento, per vedere se sono regolari, quando l’appartamento stesso è tutto abusivo e da demolire.
Dunque, il fatto che questa volta la Consulta abbia ritenuto dirimente l’aspetto relativo alla necessità della legge costituzionale, pare un mutamento di indirizzo della Corte.
Va poi detto che nella precedente occasione la Consulta non aveva escluso del tutto la fattibilità dell’operazione di “scudo”, indicando anzi la strada per un possibile intervento legislativo legittimo.
Il problema di costituzionalità della norma era stato ricondotto al fatto che la sospensione censurata fosse “generale, automatica e di durata non determinata”, e che incidesse sul diritto di difesa imponendo all’imputato di scegliere se continuare a svolgere l’alto incarico o dimettersi ed ottenere la continuazione del processo; lasciando così intendere che una sospensione che non operasse automaticamente e fosse limitata nel tempo e prevedesse l’ipotesi di rinuncia, potesse configurarsi come costituzionale.
Il legislatore ha seguito detti indirizzi nella l. 124/2008. Evidentemente, però, la Consulta ha ritenuto insufficiente le modifiche.

Avv. Stefano Spinelli

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