Quale libertà di informazione?
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Pare proprio che non si possa parlare di informazione, senza citare la Freedom house, l’organizzazione internazionale americana fondata da Eleanor Roosevelt, come osservatorio per “misurare” la democrazia e la libertà nel mondo (sempre posto che sia possibile misurarle). I sostenitori della mancanza di libertà di informazione in Italia (manifestanti in piazza domenica scorsa) citano l’ultimo rapporto 2009, secondo cui l’Italia – per quanto riguarda la libertà di stampa – si posizionerebbe al 73° posto insieme a Tonga, retrocedendo, con 32 punti (per due punti Martin perse la cappa!) da Status Free, a Partly Free (parzialmente libero; causa “la concentrazione dei media sotto il primo ministro Berlusconi e la interferenza del crimine organizzato con gli affari privati”). Apriti cielo! Non siamo più un paese democratico. Siamo diventati la repubblica delle banane.
Poi si scopre che il rating italiano è sempre stato compreso, dal 1993 in poi, tra i 25 ed i 35 punti, con fluttuazioni tra free e partly free: nel 2004 l’Italia era al 74° posto (insieme a Papua, Mali, Israele); nel 2005 al 77° posto, nel 2007 al 79° posto… Insomma, non si è andati mai benissimo, indipendentemente dal “tipo” di governo in carica. Semaforo verde invece, per quanto riguarda i diritti politici.
Per la classifica Reporters Sans Frontières 2009, l’Italia, per la stampa, è al 40° posto dietro Ecuador e Benin (gli Stati Uniti sono posizionati dietro il Costa Rica). Se si confrontano poi le due classifiche si notano differenze di posizione dei vari paesi, anche notevoli.
Ora, non so sulla base di quali criteri vengano formulate queste graduatorie, né quale valore oggettivo possa essere loro dato (consiglierei ai fans delle suddette classifiche di stabilirsi magari in paesi più free, anche se citati, a paragone, con un certo qual disprezzo).
In queste valutazioni, bisogna andare cauti: la costituzione sovietica del 1936 garantiva ai cittadini la libertà di stampa mettendo addirittura a disposizione dei lavoratori e delle loro organizzazioni le tipografie ed i quantitativi di carta per permettere il più ampio accesso ai mezzi di informazione… purché detta libertà fosse esercitata “allo scopo di consolidare il regime socialista”.
Certo è che, ogni anno, questi elenchi e questi accostamenti con paesi i più improbabili spuntano regolarmente fuori dal mega cappello dell’informazione (rigorosamente non libera) e sono utilizzati esclusivamente per sottolineare il conflitto di interessi berlusconiano. Che pure esiste. Ma che non impedisce affatto che in Italia vi sia una offerta informativa per tutti i gusti e di tutti i generi (Porta a Porta, Fede, Ballarò, Annozero, Travaglio free lance, la Dandini, Crozza, il Tg3; Repubblica, il Corriere, Il Giornale, Libero; per le campagne elettorali ci tocca ascoltare per mezz’ora il “partito pro murales sui muri delle stazioni”, che con lo 0,000 e rotti % ha gli stessi diritti degli altri; soprattutto, dilaga la satira politica dei vari Vauro & C.). Anzi, spesso, si va oltre quelli che sono i limiti della decenza, pur parimenti tutelati dalla nostra carta costituzionale.
Ciò che colpisce è proprio questo scollamento tra il paese reale e quello politico, culturale, mass-mediatico, fatto di numeri, statistiche, graduatorie, ciò che pensano di noi all’estero, dopo che all’estero hanno letto quello che alcuni di noi dicono di noi… Dire che in Italia vi è un deficit di informazione, teleguidata dal governo, è una specie di presa in giro: tutti vedono e sentono il contrario.
In tutto questo, il vero problema che avverto non è tanto un deficit di informazione, per il quale “ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione” (art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino) e per il quale “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di informazione” (art. 21 Cost.); quanto semmai l’utilizzo degli strumenti di informazione per denigrare e delegittimare gli avversari politici e non (e tutte le occasioni sono buone, satira, intrattenimento, scoop o pseudo scoop giornalistici); oppure l’uso di denunce e controdenunce.
In sostanza, mi preoccupa di più una informazione senza più regola alcuna (segno di imbarbarimento generale), perché il diritto all’informazione non è solo caratterizzato “dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie”, ma anche “dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti; dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività di informazione erogata; dal rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori” (Corte Cost., sentenza 112/1993, che richiama le precedenti 202/1976, 148/1981 e 828/1988).
Avv. Stefano Spinelli