Educare
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“L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo dei giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, se li amiamo tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi: e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti” [Hannah Arendt, La crisi dell’istruzione, in Tra passato e futuro, Milano, Garzanti, 2001]. In questo inizio di anno scolastico, la citazione da Hannah Arendt, filosofa ebrea nota soprattutto per le sue riflessioni sulle origini del totalitarismo, aiuta a riflettere per pensare a un’educazione che non si esaurisca nell’istruzione o nella formazione professionale, ma riguardi la persona nella sua completezza. Un giudizio impegnativo che esclude l’educazione dei figli come delega a qualcuno o a un’istituzione. Al contrario del qualunquismo dominante, che è l’anti-responsabilità, propone un’assunzione di responsabilità, per amore. Non perché si sa come fare, non per una tecnica. Per educare occorre un cuore che vive il presente in dialogo con il passato e aperto al futuro, aperto alla vita. La Arendt suggerisce un aspetto di intimità nel processo educativo, una simpatia umana che permette all’altro di partecipare di ciò che è più nostro, del “nostro mondo”, del nostro patrimonio di significato, e nel contempo una libertà che permetta lo spazio di una novità imprevista. Un atteggiamento che sfida ogni possibile riforma della scuola perché pone al centro la persona, i soggetti dell’educazione. È bandita l’estraneità e si restituisce valore alla trasmissione del sapere. È essenziale che i giovani incontrino una responsabilità amorosa, qualcuno che li trascini fuori dalla tana in cui spesso si chiudono e da cui spiano i grandi. Lo dicono i loro occhi, quando si ha il coraggio di fissarli proprio perché si rendano conto che sono voluti, che non siamo finiti lì, insieme, per caso. Sono aperti al futuro ma non sanno come affrontarlo. Per questo desideriamo che conoscano, che si aprano al sapere. Val la pena accettare di compromettere se stessi, farsi compagni di strada per partecipare delle loro scoperte. Senza pretendere di esaurire il mistero che sono, accogliendoli con le loro contraddizioni, l’improvviso entusiasmo e la generosità inattesa che stupiscono come una bellezza improvvisamente incontrata.