Un laico di fronte allʼEnciclica
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Siamo in presenza di un testo universale, come esposizione, analisi critica, proposizione e soggetti fruitori. Sono arrivato alla terza lettura. Quasi maniacalmente, con il piglio curioso, il vezzo stakanovista e la passione per la parola che si fa carne e la dialettica prassi. Già nelle due precedenti Encicliche Benedetto XVI aveva riportato in essere il vero senso dei nostri impulsi. La riscoperta, o scoperta, del vero senso del concetto di eros, quello di speranza Ed ora, nell’anno 2009 di nostra vita, il Papa filosofo, s’impone sulla scena, del qui ed oggi, con una magistrale Enciclica: Caritas in Veritate. Un’elaborazione intellettuale che fonda le radici nella fede, ma che ha il pregio di non ridurla a fatto prettamente religioso. A tal punto, che un apolide di sinistra come il sottoscritto, non credente, può inverare in sé, facendole proprie, tesi e prospettive. Benedetto XVI, ancora una volta, prima ancora che al fedele, si rivolge all’uomo. A quest’ultimo non chiede di credere, bensì di attuare in sé la propria identità, il principio cristiano, come movimento culturale e pedagogico che lo ha cresciuto come individuo sociale dentro la comunità. Una volta premesso, che la base del discorrere, non può essere acritica o avulsa dall’assunzione del concetto di eticità come predisposizione all’umana fratellanza dentro la grande famiglia umana, la disamina del Prof. Ratzinger si dispiega dentro i meccanismi, tutti i meccanismi, che regolano il nostro vivere, elevando innanzitutto l’essere umano a soggetto principe del cambiamento. Non l’idea, la disamina intellettuale, ma la persona. A pochi giorni dall’uscita di questa Enciclica, siamo già alle prese con il basso tentativo di appropriazione indebita. A destra e a manca, sui giornali e nei media, è partita la gara al taglieggiamento, al tentativo di estrapolare, qui e là, tesi e analisi, che possano far comodo a questo o a quel politico. Ma il documento di Benedetto XVI è talmente possente, nella sua profusione da non correre alcun rischio. Nessuno, oggi, degli attori politici e culturali contemporanei è in grado di sostenere una tale e mastodontica visione della vita e del mondo, sarebbe già un risultato sorprendente che qualcuno, con umiltà e senso del vero, si protraesse nel “tendere a”. Il Professore Ratzinger sfugge a qualsiasi sentimentalismo di sorta, attraverso la Ragione chiede di superare spinte buoniste ed emozionalità contingenti. “Non posso donare all’altro del mio senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia”. Un principio quest’ultimo che dovrebbe precedere qualsiasi atto di presunta carità. In sé contiene l’elemento di equilibrio tra dovere e diritto. Su questi due principi, Benedetto XVI scrive alcune delle pagine più affascinanti dell’Enciclica. E poi ancora il mercato, la globalizzazione, la tecnica, strumenti e condizioni che la società moderna tende a recepire come “naturali”, innate, ma che nella realtà sono opera dell’uomo e ad esso devono essere ricondotte, quindi governate, in base a quel principio di “ecologia umana” che sta alla base della cultura che modella la convivenza tra gli uomini. Caritas in Veritate fotografa e propone il “che fare”. Mi rendo conto che ogni commento, riflessione o sottolineatura, in merito ad essa, oggi non può che essere inferiore, dialetticamente più povera, strutturalmente più debole. Si tende a descrivere il lavoro di Benedetto XVI dentro le categorie della polis (“è un’enciclica riformista”, “è rivoluzionaria”, “no, s’iscrive semplicemente dentro la dottrina sociale della Chiesa Cattolica”), ebbene io credo che Caritas in Veritate, trascenda e superi completamente le stantie e ripetute formule correnti. Per slancio affettivo e per storia personale, mi verrebbe istintivamente da dire che questa è un’enciclica “lavorista”, ma mi guardo bene dall’usare etichette che ne ridurrebbero la portata. Tutti noi abbiamo la tendenza di far nostro, ciò che nostro è già. Io voglio cogliere la sfida di Benedetto XVI, senza adombrare ciò che può apparire meno affine al mio sentire. Se tutti, e dico tutti, credenti e non credenti, prelati e politici, scienziati e lavoratori, accettassero senza riserve questa sfida, forse il “bene comune”, da epiteto dialettico potrebbe divenire fatto reale. Ognuno di noi, cercherà di commentare, credendo di aver compreso tutto. Benedetto XVI con decisione asserisce che “la ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede”, e con altrettanta umiltà afferma che “la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione”. Ecco, oggi tutti noi con la sua stessa umiltà, dovremmo assolvere quello che si prospetta come il nostro compito. Tradurre in prassi, in vita concreta, in carne e quotidianità, “Caritas in Veritate”.