Disputa su Dio e dintorni
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Batti e ribatti, anche Augias e Mancuso sono arrivati sulla mia scrivania. Gli atteggiamenti indisponenti di alcune apparizioni televisive mi avevano tolto ogni simpatia nei riguardi di Augias, fino a rimuoverlo dall’orizzonte delle mie letture. Qualche breve saggio di Mancuso, intravvisto qua e là su quotidiani e riviste mi aveva appesantito per la complessità di un pensiero che non mi sentivo disposto a percorrere. Ora Augias e Mancuso mi capitano davanti insieme in un libro, scritto a quattro mani, che un amico mi presenta: Disputa su Dio e dintorni.
I due protagonisti si sono parlati a distanza, interloquendo uno dopo l’altro e fornendo la misura di una lontananza non solo fisica l’uno dall’altro. Corrado Augias sorprende ad ogni intervento per la precostituita chiusura della sua posizione umana e per l’insistenza quasi maniacale sui medesimi temi accusatori contro la fede, i credenti, la chiesa. Questa volta sorprende anche per un’imprevedibile ignoranza e supponenza, che egli manifesta in modo palese e professo soprattutto a proposito di tre questioni: il racconto biblico delle origini, del quale non sospetta affatto la profondità e la finezza e che sbologna come favoletta; la Trinità, sulla quale fortunatamente il replicante Mancuso gli fa almeno balenare la sua superficialità, e che egli presenta come incongruenza e assurdità; la figura di Maria, di cui non arriva a cogliere in alcun modo la verità e che banalizza in modo irrispettoso. Augias ostenta l’orgoglio di una superiorità che non entra in dialogo vero con l’interlocutore, ma se ne serve per affermare se stesso e le proprie posizioni. Ancora più sorprendente è la sintesi che egli fa di un suo libro precedente, buttando in faccia al lettore una mezza paginetta di affermazioni su Cristo che risultano false dal punto di vista storico e biblico, oltre che gratuite: Gesù non ha mai detto di voler fondare una Chiesa, non ha mai detto di essere nato da una vergine, non ha mai battezzato nessuno, ecc.
La posizione di Mancuso è diversa, e diversa la sua apertura, pur nell’affermazione della sua indipendenza e nella marcata originalità delle sue posizioni teologiche. I due vengono a coincidere in alcune posizioni di insofferenza nei riguardi della ‘istituzione’ della Chiesa, dove si giunge anche a livelli di cattiveria. Augias dice di essere stato educato in una scuola cattolica. Mancuso racconta di aver frequentato il seminario, dove è stato introdotto alla teologia. Deve esserci qualcosa di irrisolto nella loro vita se ambedue continuano a guardare così male la loro origine. La posizione di Mancuso tuttavia, si rivela molto più interessante e umana. Egli è talmente tollerante nei riguardi del suo interlocutore, da riuscire a valorizzarlo senza tacciarlo da ignorante anche quando sarebbe ovvio farlo. Mancuso parte dalla fede cristiana, ma risale oltre, alla ricerca di una fede o almeno di un ‘principio’ che valga per tutti, possa riscontrarsi in tutte le religioni e soddisfi già subito ogni uomo, senza che siano necessarie una correzione del pensiero e una conversione dell’atteggiamento. Egli si muove con gran cuore su una linea sincretistica, ed è talmente ammirato dell’opera della creazione e dell’energia che in essa si muove, da vederne fluire anche l’anima dell’uomo. Alcune suoi giudizi sono di grande pregnanza, come quando definisce l’Occidente ‘un gigante dalla forza smisurata ma dal cuore rattrappito’ avendo tralasciato il contatto con la fede cristiana, o quando dichiara che siamo ‘attratti da una realtà più alta della vita biologica’. Alcune sue affermazioni, che di primo acchito appaiono non adeguate a esprimere il mistero cristiano o determinati suoi aspetti, possono diventare uno stimolo a pensare più in profondità e a dire con un linguaggio più adeguato. Tante volte nel corso della storia la lingua e la cultura teologica hanno dovuto per così dire ‘spaccarsi’ per far posto a intuizioni più vere e profonde. L’esplicito riferimento a Gesù di Nazaret dovrebbe essere maggiormente approfondito e sviluppato nei suoi contenuti e nelle sue conseguenze, come principio e fondamento della fede, della teologia, della vita della Chiesa. La pratica di vita ecclesiale, che il nostro professa anche a livello di liturgia e di esperienza familiare, costituisce un dato inevitabile, un fatto concreto su cui è possibile incontrarsi e da cui è possibile procedere. Un interlocutore così serio e preparato merita di dialogare con personaggi ben diversi dal saccente giornalista che l’ha maldestramente intercettato in questo libro.