“Fides et ratio”
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Dieci anni fa Giovanni Paolo II ha offerto a tutti gli uomini di buona volontà l’enciclica “Fides et ratio”. Un caposaldo per chiunque voglia con onestà contribuire allo sviluppo del pensiero filosofico contemporaneo. In essa il Papa affermava che ciò che alimenta il desiderio di conoscere è una “ragione carica di interrogativi”, impegnata con le domande radicali dell’esistenza. Nella seconda parte, invece, si dedicava alla lettura del pensiero contemporaneo e alla considerazione, oggi pressoché dominante, che “il tempo delle certezze sarebbe irrimediabilmente passato”. Il desiderio della verità, “proprietà nativa della ragione”, viene così negato e l’uomo condannato “a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso”. Gli effetti di questo sistema di pensiero sull’esistenza sono sotto gli occhi di tutti. Si riconoscono nell’insoddisfazione, acuta fino alla disperazione cieca che opprime senza distinzione di età. Le immagini della stragi ad opera di due ragazzini nella scuola di Stoccarda e in Alabama l’hanno tristemente ricordato. Leggevo in classe il XVI canto del Purgatorio. Dante si trova impegnato a capire gli effetti del libero arbitrio e ci offre un’immagine bellissima della condizione umana. L’anima esce dalle mani del suo Fattore come una fanciulletta che pargoleggia, avendo un unico desiderio, tornare a Lui. Non conosce ancora nulla delle attrattive del mondo, alcune di queste potranno portarla fuori strada, per questo le occorre una guida. La libertà e la verità devono restare unite altrimenti ci si perde per strada, non si può illudersi di fare da sé. Le ragioni di una nuova evangelizzazione di cui tanto parlò Giovanni Paolo II e ora Papa Benedetto, sono iscritte proprio nella profondità dell’esperienza umana, nel suo incessante porsi le grandi domande dell’esistenza: che senso ha la vita, perché il dolore e la morte? Domande cui non possiamo rispondere da soli ma cui è offerta una risposta. L’affermazione che solo Dio è la risposta al bisogno integrale dell’essere umano non è arbitraria ma corrispondente alle esigenze del cuore. Il fallimento dell’alternativa nichilista o relativista l’abbiamo davanti agli occhi. Manca solo l’onestà di riconoscere l’evidenza. Abbiamo bisogno di essere salvati. Ma la debolezza che costituisce il nostro essere è insieme strada per la scoperta della nostra grandezza. Riconoscere la nostra creaturalità significa infatti riconoscere in noi l’immagine del Creatore. “Ciascun confusamente un bene apprende nel qual si queti l’animo e disira; perché di giugner lui ciascun contende” (Dante, Pg. XVII).