Europa: Tempo di bilanci
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Negli ultimi sei mesi la Presidenza francese ha dato una scossa all’Europa; una scossa con alcune luci, ma anche qualche ombra. Sono ancora cronaca le iniziative e le azioni di Nicolas Sarkozy per la crisi georgiana e per quella finanziaria mondiale, così come per la così detta lotta al cambiamento climatico, dove, al di là delle dichiarazioni di circostanza, fortunatamente ha prevalso la posizione italiana che ha impedito all’Europa di distruggere l’economia per un incerto e trascurabile contributo all’ecologia planetaria: queste sarebbero state le conseguenze del Protocollo di Kyoto. Infatti, con buona pace di tutti, i suoi maggiori sostenitori, si sono rifiutati di applicarlo in casa propria, come ad esempio Tony Blair ed il suo successore Gordon Brown. Ma comunque, durante questi sei ultimi mesi, per l’azione del Presidente francese, Presidente di turno dell’UE, l’Europa ha avuto un ruolo sul piano internazionale, e la sua voce si è levata chiara e tempestiva. Ancora oggi assistiamo alla convocazione di un vertice a Parigi per la gravissima situazione determinatasi nella Striscia di Gaza. Il Presidente Sarkozy, secondo fonti giornalistiche di oggi 30 dicembre, proporrebbe una missione congiunta in Medio Oriente dei Ministri degli Affari Esteri francese e ceco Bernard Kouchner e Alexandr Vondra, per tentare di raffreddare una crisi che determina vittime e sofferenze, e che sta mettendo a rischio la pace! Le prossime Presidenze semestrali spetteranno alla Repubblica Ceca, alla Svezia, e, salvo entrata in vigore del Trattato di Lisbona, alla Spagna ed al Belgio.
Circa la crisi israelo-palestinese, per la quale l’Europa sta cercando una reazione tempestiva ed efficace, ecco le parole preoccupate ed accorate di S.S. Benedetto XVI: «… la Terrasanta, che nei giorni natalizi è al centro dei pensieri e degli affetti dei fedeli di ogni parte del mondo, è nuovamente sconvolta da uno scoppio di inaudita violenza. Sono profondamente addolorato per i morti, i feriti, i danni materiali, le sofferenze e le lacrime delle popolazioni vittime di questo tragico susseguirsi di attacchi e di rappresaglie.»
Resta il tema tuttora irrisolto del “no” irlandese al Trattato di Lisbona, ratificato da tutti gli altri Paesi dell’UE, che pertanto non può entrare in vigore, dettando regole nuove più democratiche e funzionali per la vita di una Unione di 27 Stati, destinata ad aumentare. La mancata applicazione del Trattato di Lisbona, proroga di fatto la validità del Trattato di Nizza, senza dubbio più farraginoso, che rende più complessa e difficile l’assunzione delle decisioni comunitarie. L’Irlanda, nel recente vertice di Bruxelles si è impegnata a ripetere il referendum popolare, avendo ottenuto le assicurazioni che chiedeva all’UE; il nuovo referendum si terrà nell’autunno del 2009, e quindi il Trattato non potrà entrare in vigore prima del 2010.
Grande preoccupazione suscita una tendenza che va manifestandosi e consolidandosi, del resto ampiamente prevista come riportato in più di un articolo anche su “CulturaCattolica.it”. Ratificando il Trattato di Lisbona, che fa esplicito riferimento alla “Carta dei diritti fondamentali” rendendola vincolante, gli Stati che non hanno formalizzato alcuna riserva in merito, come invece hanno fatto Gran Bretagna e Polonia, si sono impegnati a rispettarla, tenendone conto nelle rispettive legislazioni nazionali. Più volte abbiamo notato che è un documento, ad una prima lettura superficiale, neutro ed apparentemente “innocuo”, ma si tratta di un documento ambiguo, aperto a diverse e contrastanti interpretazioni. (Cito un solo esempio: il diritto di sposarsi, e indipendentemente dal questo, il diritto a formare una famiglia – art. 9 –).
Purtroppo anche l’Italia ha ratificato il Trattato per via parlamentare, senza alcun coinvolgimento dell’opinione pubblica, anche se la ratifica ha comportato le rinuncia ad alcuni ambiti di sovranità che, si usa dire, appartiene al popolo; quel che è peggio, la ratifica italiana è senza alcuna riserva nei confronti della Carta dei diritti fondamentali. Ora si sostiene che gli Stati firmatari, che hanno ratificato il Trattato, devono rispettare le interpretazioni che di esso darà l’Alta Corte di Giustizia europea, che ha sede nel Granducato del Lussemburgo. Conosciamo bene, per esperienza, gli orientamenti prevalenti nella Corte.
La circostanza più preoccupante di questo ultimo anno è certamente la crisi finanziaria che, scoppiata negli USA, interessa tutto il mondo. Mentre Sarkozy ha lavorato perché l’UE adottasse misure a favore dell’economia reale, ed in particolare per garantire i finanziamenti alle piccole e medie Imprese, il Presidente della Commissione Barroso, sottolinea soprattutto i possibili effetti positivi sul piano tecnologico e produttivo, della lotta al cambiamento climatico, della ricerca per le energie rinnovabili ed il contenimento delle emissioni, secondo me in modo abbastanza acritico e irrealista: in una situazione come quella attuale non si può puntare solo, o soprattutto, su questi aspetti, il problema è di ben altre proporzioni e richiede ben altre iniziative.
Occorre riconoscere e sottolineare la positiva performance dell’euro. Mentre alla sua adozione ha indubbiamente prodotto in quasi tutti i Paesi un considerevole aumento del costo della vita, in questa circostanza ha “tenuto” decisamente bene. Per contro la sterlina che due anni or sono valeva un euro e mezzo, ed ancora all’inizio del 2008 valeva 1, 36 euro, oggi è scesa praticamente alla parità con la moneta europea: una sterlina vale oggi 1,03 euro, perdendo circa il 34% del proprio valore, di cui il 24% nell’ultimo anno. Secondo non pochi analisti ciò faciliterà l’ingresso del Regno unito nell’area euro. Inoltre, sia pure senza grande entusiasmo da parte tedesca, si fa strada la consapevolezza della necessità che gli Stati europei agiscano insieme in modo coordinato nel sostegno ai consumi ed all’economia, perché separatamente avrebbero un’incidenza assai inferiore sulla situazione finanziaria ed economica.
In questo ultimo mese di dicembre il Parlamento europeo ha esaminato una proposta del Consiglio dei Ministri relativa all’orario di lavoro, precedente fissato in misura non superiore alle 48 ore settimanali. Ora si proponeva di poter arrivare anche a sessanta – sessantacinque ore settimanali, su base trimestrale, il che significa lavorare circa 9 ore al giorno per sette giorni alla settimana, eliminando l’obbligo di rispettare il riposo di due giorni, di cui uno in domenica. Il Parlamento ha respinto con una larga maggioranza questa proposta, che ora ritorna al Consiglio, e certamente non la si può considerare una questione conclusa.
Certo la strada per arrivare ad una politica unica ed unitaria circa gli Affari esteri e la Difesa, così come in altri settori socio economici, è ancora lunga, ma è indubbio che questo ultimo periodo ha mostrato in modo chiaro il “valore aggiunto” di un’azione comune e concordata.
La strada percorsa dall’UE in questo 2008 riproducendo l’andamento di tutta, la Legislatura, si può riassumere in una forte preoccupazione per gli aspetti etici (finanziamento della ricerca sulle cellule embrionali, aborto – eufemisticamente chiamato salute riproduttiva –, eutanasia, diritto matrimoniale e famigliare) e la coscienza degli effetti positivi di una collaborazione politica vera (la pace sessantennale, la collaborazione monetaria, economica e sociale). Sta a noi minimizzare i rischi e concretizzare le opportunità, dando all’Europa voce autorevole in campo internazionale, e presso i Paesi più poveri, che aspettano e chiedono tutto ciò.