Approfondimenti: questioni aperte sull’Europa
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“Ombre” della Presidenza francese. Ci sono state certamente “luci” nella Presidenza francese, ma qui citiamo un’altra “ombra”. Le luci le hanno sapute illustrare così bene Sarkozy ed il Suo Ministro degli esteri, Bernard Kouchner, al Parlamento europeo. Il Segretario di Stato francese ai diritti dell’Uomo, Signora Rama Yade, agendo nella Sua qualità di Presidente in carica dell’UE per i Diritti umani, ha presentato all’Assemblea delle Nazioni Unite una proposta di condanna di ogni forma di discriminazione nei confronti degli omosessuali. Detto così, chi non è d’accordo ? Ma il fatto è che, come in molte altre iniziative analoghe, una delle discriminazioni da combattere è il divieto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Visto il Suo ruolo, la Signora Rama Yade, ha coinvolto in questa Sua azione tutti i ventisette Stati dell’UE. È vero che li ha interpellati tutti, e che tutti sono d’accordo con Lei ? Le cautele della diplomazia ci impediscono di saperlo con esattezza. Per ora, in sede ONU, su 192 Paesi, 66, inclusi i Paesi dell’UE, hanno detto «sì», 60 hanno detto «no». Mancano all’appello altri 66 Paesi. Stando a precedenti esperienze, l’iniziativa della Francia non dovrebbe raggiungere le 97 adesioni necessarie (50%+ 1).
Lotta al cambiamento climatico. L’escamotage trovato nell’ultimo Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’UE, in dicembre a Bruxelles, è stato: per ora confermiamo gli obiettivi indicati (salvando la faccia), decideremo l’anno prossimo alla conferenza internazionale di Copenhagen, vedremo se si allineeranno anche India, Cina e USA. Non pochi Osservatori ritengono che poiché è certo che questi non ci staranno, almeno non accetteranno nei termini attualmente previsti, il protocollo di Kyoto sarà definitivamente abbandonato. Se possiamo azzardare un commento, potremmo dire che non si può ignorare il problema, ma non con un “furore ecologista”. Infatti è evidente un principio di causa effetto tra le attività umane e l’atmosfera che ci circonda, permettendoci di vivere; ma non è affatto certa l’incidenza delle attività umane sul nostro ecosistema. Numerosi Scienziati sostengono che i tanto deprecati gas serra incidono forse meno dell’1% rispetto all’azione indotta dalle macchie solari. Intervenire è doveroso ma non a costo di distruggere l’economia e l’industria sia dei Paesi progrediti che di quelli meno avvantaggiati, impedendo loro un necessario sviluppo: Intervenire cioè con una corretta applicazione ponderata del “principio di precauzione”, e con sano buon senso, citato ad esempio nel compendio della Dottrina sociale cattolica, ed i numerosi recenti interventi di SER Mons. Crepaldi, Segretario generale del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Occorre comunque un cambiamento culturale: l’uomo non è la causa del degrado, ma è la risorsa per combatterlo.
Ratifica del Trattato di Lisbona. Le Autorità irlandesi, avendo constatato che l’esito del primo referendum è stato determinato da malintesi e incomprensioni, ritengono opportuno che il popolo abbia l’occasione di esprimersi di nuovo, dopo aver ottenuto i chiarimenti indispensabili e le garanzie del caso. Il Trattato, ratificato da tutti gli altri Stati membri, non ha subito alcuna modifica. La scelta degli Irlandesi assume pertanto un nuovo significato: non si tratta più di pronunciarsi a favore o contro, bensì di sapere se l’Irlanda intende o meno partecipare a questa nuova fase della costruzione europea con competenze ampliate ed un funzionamento più democratico e più flessibile. L’UE nel vertice di Bruxelles del 11 e 12 dicembre 2008, ha assicurato all’Irlanda che ciascuno Stato membro esprimerà un Membro della Commissione europea (un Commissario europeo), potrà mantenere la propria neutralità, e legiferare autonomamente in materia fiscale e del diritto di famiglia. Speriamo che il processo di ratifica non riservi altre sorprese, infatti alcuni Paesi, hanno intrapreso l’iter di ratifica, ma non lo hanno ancora perfezionato, e cioè, oltre all’Irlanda: Germania (che ha concluso l’iter, ma non ha ancora depositato la ratifica), Polonia e Repubblica Ceca.
Obbligatorietà della Carta dei Diritti fondamentali. Ogni anno l’UE discute e approva un documento che esamina il rispetto dei diritti umani in Europa e nel mondo, valutando le proprie possibilità di intervento a favore della libertà nei diversi Paesi terzi. Questo anno il Relatore è stato l’On. Giusto Catania, che al Parlamento Europeo fa parte del «Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica», mentre in Italia milita nel “Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea”. È Membro della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, cioè la Commissione competente per questo tipo di rapporti, che il Relatore incaricato redige dopo aver raccolto indicazioni e proposte da tutte le altre Commissioni. L’On. Catania, nel documento approvato dalla Commissione che sarà esaminato nell’Assemblea plenaria, insiste sul concetto che uno Stato, ratificando il Trattato e quindi riconoscendo l’obbligatorietà della Carta dei diritti fondamentali, è vincolato ad accettarne tutte le interpretazioni dell’Alta Corte di Giustizia. Il che significa, circa i problemi etici, accettare obbligatoriamente tutte le prese di posizione di una giurisprudenza laicista e permissiva. Questo, a mio parere, è stato un grave errore del nostro Governo e del nostro Parlamento. Altro punto ribadito dall’On. Catania è la valorizzazione anche in sede legislativa ed interpretativa, della Agenzia per i Diritti umani di Vienna, il cui primo atto è stato, un rapporto sulle discriminazioni di cui sono vittime gli omosessuali.
Circa la crisi finanziaria, originatasi nel mercato dei mutui subprime negli Stati Uniti, c’è una nota elaborata dal Pontificio consiglio per la Giustizia e la Pace, e approvata dalla Segreteria di Stato, che inquadra il fenomeno mondiale. «In questa situazione, risulta indispensabile che i Governi e le istituzioni finanziarie internazionali agiscano per contrastare il diffondersi ulteriore dell’attuale crisi finanziaria: infatti, molti Paesi hanno introdotto decisioni radicalmente opposte alla tendenza, prevalente fino a un passato recente, di affidare il funzionamento del mercato finanziario alla sua capacità di autoregolamentazione. …. In sostanza, i Governi dei Paesi colpiti dalla crisi hanno adottato una varietà di provvedimenti che comportano un massiccio ritorno del settore pubblico in quegli stessi mercati finanziari che, negli ultimi decenni, erano stati deregolamentati, privatizzati e liberalizzati. Poiché un’azione politica di questa portata ha maggiori probabilità di successo se i Paesi non procedono in ordine sparso, ma se coordinano le loro iniziative, per il 15 novembre è stato convocato d’urgenza un summit dei grandi Paesi: il cosiddetto G-20 (ndr. Il G-20 è stato proposto dalla Presidenza francese dell’UE), con la partecipazione di significativi Paesi emergenti. … Se è indispensabile far fronte, anche sul piano politico, alle emergenze finanziarie che si presentano, è altrettanto importante guardare con attenzione al quadro complessivo e alle connessioni fra i problemi, non solo dal punto di vista dei Paesi economicamente importanti, ma dentro una prospettiva tendenzialmente globale. Non sempre la cosa più urgente è anche la più importante! Anzi, riordinare le priorità è tanto più necessario quanto più la situazione si è fatta difficile. È indubbio che si è giunti all’emergenza finanziaria di oggi dopo un lungo periodo nel quale, pressati dall’obiettivo immediato di perseguire risultati finanziari a breve, si sono trascurate le dimensioni proprie della finanza: la sua vera natura, infatti, consiste nel favorire l’impiego delle risorse risparmiate là dove esse favoriscono l’economia reale, il bene-essere, lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini (Paolo VI, Populorum progressio, 14).
Orario di lavoro. La proposta del consiglio dei Ministri, che si pone l’obiettivo della maggior flessibilità possibile del lavoro, prevedeva la possibilità, previo accordo tra Datore di lavoro e Lavoratori, di derogare all’orario massimo di 48 ore settimanali, arrivando sino 60 – 65 ore, sempre settimanali, su base trimestrale. In concreto questo vorrebbe dire lavorare 9 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, per un periodo di tre mesi, recuperando poi i 24 giorni di riposo non usufruiti. Ovviamente, in questa prospettiva decadrebbe anche l’obbligatorietà del riposo domenicale. Inoltre tutti i lavori e le prestazioni che richiedono turnazioni ininterrotte, non sarebbero più tenuti a rispettare il riposo settimanale in due giorni a scelta di cui uno alla domenica. Una sola considerazione : oltre al rispetto del giorno festivo nel «giorno del Signore» saldamente inserito nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni, quale vita famigliare e relazionale se non esiste più un giorno di riposo fisso per tutti?