Gli Ebrei per il dialogo
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Molti ebrei italiani, impegnati da tempo nel dialogo con i fratelli cristiani, e cattolici in particolare, pur rispettando le decisioni prese il 17 novembre dalla Assemblea dei Rabbini d’Italia, esprimono il loro profondo dissenso da ogni tentativo di imporre la rottura del dialogo ebraico-cristiano e si impegnano a proseguirlo nelle forme e nei modi che riterranno più opportuni, sia con gruppi religiosi e laici sia con strutture riconducibili alle autorità ecclesiastiche.
La reintroduzione, nella preghiera in latino del venerdì precedente la Pasqua cristiana, della speranza di “illuminazione” per i fratelli ebrei è un fatto, per’altro limitato, circoscritto, al quale è seguita una spiegazione autorevole che ha fatto affermare al presidente dell’International Jewish Committee, Rabbino David Rosen: «Siamo molto grati per le chiarificazioni che abbiamo ricevuto dal Cardinale Kasper reiterate dal Cardinale Bertone nella sua lettera al Rabbino Capo di Israele, che affermavano che questa preghiera ha una natura escatologica e in nessun modo riflette nessuna presa di posizione di proselitismo nei confronti degli Ebrei».
Il Talmud ci insegna che le spiegazioni e i chiarimenti sono molto più importanti delle affermazioni del testo: ne rappresentano il completamento e costituiscono la corretta interpretazione di ciò che viene affermato. Queste spiegazioni, e gli atti conseguenti, come le reiterate affermazioni ufficiali soprattutto del Papa nella lotta all’antisemitismo, di amicizia e di affetto nei confronti degli Ebrei, ci inducono e ci convincono a considerare circoscritta e risolta la discussione, sia pure legittima, successiva alla reintroduzione nella preghiera in latino delle affermazioni oggetto di controversia.
Il dialogo e l’amicizia ebraico-cristiana sono troppo importanti – soprattutto nel contesto attuale di una gravissima crisi planetaria che ha implicazioni morali ed etiche di grande rilevanza e di altrettanto minacciosi pericoli da parte del fondamentalismo e terrorismo di matrice islamica – perché si possa pensare di interromperli o comunque di attenuarli e delimitando le modalità e gli interlocutori da prescegliere.
A cominciare dalla metà dell’Ottocento insigni studiosi e rabbini hanno iniziato, in condizioni ben più difficili ed ardue di quelle attuali, a proporre il problema del rapporto e del dialogo fra ebrei e cristiani nell’intento di superare millenni di incomprensioni, persecuzioni, di teologia della sostituzione e di quello che Jules Isaac chiamò “l’insegnamento del disprezzo”. Scriveva il grande rabbino livornese, kabbalista e filosofo, Elia Benamozegh in Israele e l’umanità : «Allora, la conciliazione sognata dai primi cristiani come una condizione dalla Parusia o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel grembo della Chiesa … si effettuerà in verità non nel modo in cui si è voluto attenderla, ma nel solo modo serio, logico e durevole, soprattutto nella sola maniera vantaggiosa per la nostra specie. Sarà come lo dipinge l’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, un ritorno del cuore dei figli ai loro padri e di quello dei padri ai loro figli (Ml. 3,24), vale a dire dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate».
Come l’unità dei due popoli già sussiste nelle mani di Dio, in modo misterioso, noi crediamo che, se lasceremo crescere la loro capacità di ascolto e di amore, i figli di Israele e i figli della Chiesa, potranno giungere dopo duemila anni di incomprensioni a quella riconciliazione nella differenza, la cui importanza e urgenza tutti gli uomini di buona volontà debbono riconoscere.
In una recente lettera il Papa Benedetto XVI ha osservato che «un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile senza mettere tra parentesi la propria fede», mentre è invece necessario «affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo» e «qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari». Questo è un approccio che prefigura un forma di dialogo corretto, alieno da confusi sincretismi e tentativi di riappropriazione, e volto a promuovere la dimensione religiosa nella sfera pubblica, obbiettivo questo che è fondamentale per l’ebraismo. Vogliamo ricordare, al riguardo, Isaia quando afferma: «È troppo poco che tu sia mio servo per ristabilire le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Voglio fare di te la luce delle genti onde tu porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Isaia, 49,6) e «…Cessate di operare il male. Imparate a fare il bene. Ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la vedova» (Isaia, 1, 11-17)”.
Oltretutto ebraismo e cristianesimo hanno un terreno comune che li lega in modo assolutamente speciale, e che proprio per questo ha reso ancor più dolorose le vicende dei secoli passati. È un terreno che rende particolarmente necessario, importante e proficuo il dialogo. Vogliamo ricordare un testo dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, pubblicato nella primavera del 2001 come prefazione a “Il popolo ebraico e le sue Sacre scritture nella Bibbia cristiana”. Vi si diceva: «È chiaro che un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento non solo, come prima mostrato, avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile a un rapporto positivo tra cristiani ed ebrei, perché sarebbe loro sottratto proprio il fondamento comune».
Su questo sentiero ormai largo e agevole, in questo campo dissodato, in questa vigna del Signore come disse il Papa durante il funerale di Giovanni Paolo II, vogliamo percorrere insieme la strada del dialogo e della redenzione e stare amabilmente insieme, secondo le parole del salmista: «Ecco, come è bello e come è dolce sedere fra fratelli che vivono d’accordo!… Perché il Signore vi ha imposto la benedizione e la vita per sempre» (Salmo, 133, 1-3).
Guido Guastalla
Assessore alla cultura Comunità ebraica Livorno
Giorgio Israel
Professore all’Università di Roma “La Sapienza”