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La tragedia di Pogliano Milanese

Fonte:
CulturaCattolica.it
Pogliano Milanese: soffoca l'anziana madre inferma e poi si consegna ai carabinieri

Quando una persona è colpita da ictus e non è più in grado di provvedere a sé stessa, quando la sua vita diventa bisognosa di attenzione continua perché anche lavarsi, mangiare, o prendersi cura della propria igiene, diventa un problema insormontabile senza l’ausilio di una persona accanto, che si fa?

Cosa si deve fare in una società che si dice civile e che quindi dovrebbe inorridire al pensiero di mettere queste persone fuori dalle mura della città e abbandonarle al loro destino, come si faceva molti secoli orsono?

A Pogliano Milanese, Mariangela, 57 anni, si è presa cura della madre di 83 anni affetta da ictus, poi anche il fratello sessantenne si è ammalato, non poteva più camminare e lei ha dovuto lasciare il suo lavoro e stravolgere la sua vita per accudire i suoi familiari.
Sia chiaro, non è l’unica in queste condizioni e sono certa che lo Stato le versava anche l’assegno di accompagnamento, una cifra mensile che si aggira attorno ai 600 euro e poi ci sarà stata anche la pensione di vecchiaia, lo Stato avrà pensato “ho già dato”.

Sul sito del comune di Pogliano, nella guida ai servizi ci sono tutte le indicazioni per ottenere questi benefici, e numerosi altri servizi per gli anziani, compreso un corso su come non farsi truffare, ma Mariangela aveva bisogno d’altro, di sostegno, di compagnia, di qualcuno che la sostituisse qualche giorno alla settimana per poter riprendersi almeno in parte un po’ delle sue abitudini, della sua vita.
Quella vita che per lei era diventata troppo faticosa, una fatica che le è sembrata insopportabile, senza futuro.

La solitudine e forse la rabbia per questa fatica che portava da sola, hanno fatto in modo che mettesse in atto un piano diabolico.
Uccidere la madre e convincere il fratello a suicidarsi con lei.
Così appena la madre si addormenta la soffoca con un sacchetto di plastica, il fratello nell’altra stanza non se ne rende nemmeno conto, ma poi non ne vuole sapere di porre fine alla sua vita e allora Mariangela, esce, torna a casa sua, mette uno sgabello sotto alla finestra decisa a farla finita, a buttarsi nel vuoto.
Ma le manca il coraggio, prevale la vita, perché la morte non è mai la soluzione.

Anche se attorno a noi tutto concorre a farci pensare che sia la soluzione alle difficoltà del vivere, ad una vita che come spesso si dice oggi ha: "una qualità insufficiente”, anche Mariangela la pensava così, ma un attimo dopo ha cambiato idea, ha chiamato i carabinieri si è consegnata loro.

Non va lasciata sola Mariangela, non andava lasciata sola nemmeno prima, dobbiamo imparare da questa tragedia che spesso i sostegni economici che pure ci vogliono, non bastano.
Perché non è la pensione, l’assegno di accompagnamento che possono risolvere tutti i disagi, ci vuole una rete di servizi e di rapporti umani che renda la quotidianità di queste famiglie e di queste persone più serena, si fa molto, anche con il volontariato, ma non basta.

Quello che va ripristinato è la cultura dell’aiuto, della condivisione, della com-passione, intesa come patire insieme.
Ma come sarà possibile questo, se ci abituiamo a vedere nell’handicappato, nella persona non più autosufficiente, qualcuno costretto a vivere una vita non degna?

Come potremo condividere la vita e la fatica con tutte le Mariangele che oltretutto, dedicandosi ai propri cari infermi, sgravano lo Stato da una grande fetta di spesa pubblica per un’assistenza ospedaliera che viene evitata, come potremo trovare la modalità di condividere la vita, di alleggerire la loro quotidianità se in fondo, magari senza ammetterlo nemmeno a noi stessi, pensiamo che quelle persone così 'sofferenti' sarebbe stato meglio, per il loro meglio, che il dio della morte se le fosse prese evitando il disturbo, la fatica e il costo che comportano?

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