16 novembre 1943 deportazione degli Ebrei di Roma
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Lettera aperta
Caro Leone,
grazie per la Tua cortese attenzione nell’informarci di iniziative così significative ed opportune. Se invece che a Milano abitassi a Roma avrei partecipato fisicamente alla Vostra marcia, invece che solo spiritualmente.
Il dottor Leone Gianturco, membro della Comunità di Sant’Egidio, è un caro amico con cui ho condiviso la partecipazione alla Fondazione Giustizia e Solidarietà per la diminuzione del debito estero dei Paesi più poveri; iniziativa che ha coinvolto la Chiesa italiana durante l’anno del giubileo del 2000. In questi giorni mi ha informato di questa iniziativa.
Dal Sito della Comunità di Sant’Egidio stralciamo quanto segue.
Si è svolta a Roma, in questi giorni la Marcia della Memoria della deportazione degli ebrei di Roma, il 16 ottobre 1943. Quest’anno è il 65° anniversario del tragico evento, e sono ormai 15 anni che la Comunità di Sant’Egidio organizza questa memoria insieme alla Comunità Ebraica di Roma.
Particolarmente numerosi quest’anno i partecipanti alla marcia: tra cui diversi immigrati ed alcuni sopravvissuti allo sterminio nei campi nazisti.
Le Personalità intervenute hanno dichiarato.
La manifestazione si è aperta a piazza Santa Maria in Trastevere, con le parole di Mons. Matteo Zuppi, parroco della Basilica e assistente ecclesiastico della Comunità di Sant’Egidio, che ha espresso il significato della marcia: “Ricordare è rivivere; rivivere il dolore di quel giorno per non dimenticare e capire. Capire, perché questo non avvenga più per nessuno.”
Il sindaco di Roma Gianni Alemanno che ha ringraziato la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica di Roma. Egli ha ricordato che ogni forma di razzismo deve essere combattuta e ogni minoranza protetta, per costruire una città più umana per tutti.
Il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo ha sottolineato il significato della marcia: “stare insieme”, proprio in un momento in cui “il nemico potrebbe diventare il diverso.”
Nelle parole del rabbino capo di Roma Riccardo di Segni, l’eco della memoria di quel 16 ottobre del 1943. Dopo aver ricordato che anche allora, come oggi, la comunità ebraica festeggiava la Festa delle Capanne, il rabbino ha sottolineato che la marcia non è solo un momento di memoria, ma di educazione continua.
Il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici ha indicato la responsabilità di consegnare la testimonianza della memoria alle future generazioni e ha sottolineato come la particolarità dell’evento organizzato dalla sua Comunità con la Comunità di Sant’Egidio sia nel: “portare tutti, da differenti culture a portare la fiaccola insieme”. Ha quindi ringraziato gli immigrati presenti, affermando che “siamo qui per portare avanti i valori dell’accoglienza.”
Renzo Gattegna, presidente della Comunità Ebraica Italiana ha detto che la lotta per la fraternità non è vinta per sempre, ma: “occorre rinsaldare continuamente la nostra alleanza, mantenere viva la memoria per trasmetterla ai più giovani”.
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità si Sant’Egidio, ha ripreso la domanda: “Che cosa succederà quando noi non ci saremo più?” e ha detto:”La vostra presenza qui oggi è una risposta. Il 16 ottobre rimarrà un evento costitutivo di Roma. …. Siamo una unione di gente diversa che condivide una grande umanità, generatrice di una visione serena per il futuro. Non abbiamo paura perché ci sentiamo uniti sulla strada del rispetto degli altri”.
Sin qui dal Sito della Comunità Sant’Egidio.
Caro Leone, voglio sperare che, anche se non riportato nel sito, si sia ricordato ai nostri “fratelli maggiori”, come li ha chiamati Giovanni Paolo II, che dobbiamo sentirci tutti uniti sulla strada del rispetto degli altri, e che ogni momento di memoria, è anche un’occasione di educazione continua per ciascuno, nessuno escluso.
Stridono non poco le parole che pochi giorni prima proprio il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici ha pronunciato dichiarando che il via libera di Benedetto XVI per la beatificazione di Pio XII non è stato gradito dalla comunità ebraica romana, il cui portavoce, ha ricordato come nessuno abbia visto papa Pacelli al Portico d’Ottavia dopo il 16 ottobre 1943, quando le truppe naziste diedero il via alla deportazione di massa degli ebrei dal Ghetto romano. E non sono queste le parole più aspre dette in questa occasione.
Benedetto XVI interpretando il medio sentire del popolo cristiano ha detto recentemente che Pio XII è intervenuto «ovunque fosse possibile» in favore degli ebrei e spesso lo ha fatto «in modo segreto e silenzioso» per «evitare il peggio» e salvarne «il più gran numero possibile». «Quando ci si accosta senza pregiudizi ideologici alla nobile figura di questo Papa, oltre ad essere colpiti dal suo alto profilo umano e spirituale, si rimane conquistati dall’esemplarità della sua vita e dalla straordinaria ricchezza del suo insegnamento. Si apprezza la saggezza umana e la tensione pastorale che lo hanno guidato nel suo lungo ministero e in modo particolare nell’organizzazione degli aiuti al popolo ebraico».
Fare di Pio XII – come scrive David G. Dalin – un bersaglio del nostro sdegno morale contro i nazisti e annoverare il cattolicesimo fra le istituzioni delegittimate dall’orrore dell’Olocausto significa mancare di comprensione storica.
Infatti tra le moltissime testimonianze dirette di contemporanei che si possono citare, ricordiamo:
Albert Einstein, che il 23 dicembre 1940 dichiarava: “Soltanto la Chiesa si oppose pienamente alla campagna di Hitler che mirava a sopprimere la verità. Non avevo mai avuto un interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento per essa grande amore e ammirazione, perché soltanto la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di difendere la verità intellettuale e la libertà morale. Sono quindi obbligato a confessare che ciò che prima avevo disprezzato ora elogio senza una qualsiasi riserva”
.Mentre nel settembre 1945 Leon Kubowitzky, segretario generale del Congresso mondiale ebraico, ricevuto da Pio XII, gli disse: “Il Congresso mondiale ebraico mi ha pregato di esprimervi... la riconoscenza delle nostre comunità per quanto la Chiesa ha tentato di fare e tuttora fa a favore della nostra nazione perseguitata.”
Mi ha particolarmente colpito una dichiarazione recentissima apparsa sul sito di UAAR - Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti – “A me il fatto che il Papa sia o non sia andato nel portico dopo il 16 ottobre non sembra determinante: cosa conta un’ apparizione o un bel discorso fatto alla piazza… quello che conta sono i fatti. Quindi io stimo di più Pio XII che i molti diplomatici di oggi.”
Probabilmente molti sanno che la Nunziatura della Santa Sede presso lo Stato italiano, risiede nel centro di Roma in una bellissima casa patrizia circondata da un magnifico parco, dono di un Ebreo a Pio XII per ringraziarlo di quanto aveva fatto per gli ebrei a Roma, in Italia, e non solo.
Nell’estate del 1944, dopo la liberazione di Roma e prima della fine della guerra, Pio XII disse a un gruppo di Ebrei romani che erano venuti a ringraziarlo per la sua protezione: “Per secoli gli ebrei sono stati ingiustamente trattati e disprezzati. È tempo che vengano trattati con giustizia e umanità. Dio lo vuole e la Chiesa lo vuole. San Paolo ci dice che gli ebrei sono nostri fratelli. Essi dovrebbero essere accolti come amici”.
Tutto ciò che meritano di domanda di perdono, di condivisione e di solidarietà piena e sincera, non li autorizza a ritenersi giudici di ultimo grado, senza il confronto necessario per sentirci tutti uniti sulla strada del rispetto degli altri, e perché ogni momento di memoria sia anche un’occasione di educazione continua per ciascuno, nessuno escluso. Questa sincerità di rapporti è necessaria affinché il rispetto per i nostri fratelli maggiori sia autentico; ed è autentico se si fonda su di un confronto franco leale ed onesto sulla strada della ricerca comune della verità, nonostante possa essere una strada faticosa.
Tutto ciò che meritano di domanda di perdono, di condivisione e di solidarietà piena e sincera, non può relegarci in una soggezione che ci impedisce di dirci come siamo e come sentiamo; più che una soggezione sarebbe un rifuggire dalla fatica della fratellanza vera.
Caro Leone, grazie per la Tua attenzione; se è vero che la verità ci farà liberi, occorre pagare alla verità il tributo che merita da parte di tutti.