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Insegnanti di religione, anomalia italiana?

Fonte:
CulturaCattolica.it
Leggo su un blog un articolo dal quale si evince che ci sono insegnanti privilegiati, sono gli insegnanti di religione, incuriosita chiedo all'amico Nicola Incampo di spiegarmi come stanno le cose, e scopro che non è proprio come me l'hanno raccontata, ecco allora il botta e risposta, giusto per capire come va il mondo.

Ma quale anomalia degli insegnanti di religione!

In questi giorni in cui la scuola è tornata sulle prime pagine dei giornali (purtroppo a causa delle balzane idee della Gelmini) mi sembra doveroso parlare di una delle tante anomalie, che la riforma contribuisce ad accentuare, dello scarcinato sistema scolastico italiano: i docenti di religione. Pur insegnando una materia che dal 1984 è facoltativa, questi insegnanti godono di una serie di privilegi rispetto ai colleghi di altre materie, su cui ha deciso di indagare anche l'Unione Europea. La disparità di trattamento inizia fin dall'assunzione: come molti sapranno, chi vuole insegnare deve conseguire una laurea, svolgere un corso di abilitazione di 2 anni in una scuola di specializzazione a numero chiuso (la SSIS), entrare in graduatoria da precario e sperare che questa condizione non duri a vita. Per i professori di religione tutto questo non esiste. Basta ottenere la nomina vescovile (fatti salvi ovviamente i basilari requisiti professionali) e l'assunzione in ruolo diviene automatica. Senza specializzazioni, senza corsi integrativi, senza abilitazioni. Ma questo è solo l'inizio. I prof di religione infatti, sono i soli nel sistema scolastico italiano, a poter ottenere un passaggio di cattedra senza troppi patemi. Vediamo come. Prendiamo il caso di un docente di religione ammesso in ruolo, che intende cambiare ed insegnare un'altra materia, poniamo la filosofia. Ebbene questo professore può tranquillamente richiedere ed ottenere il passaggio di cattedra senza superare alcuna barriera selettiva. Gli basterà conseguire una laurea nella materia di interesse e in tal modo, scavalcando tutti coloro che hanno partecipato al concorso pubblico, si ritroverà insegnante di filosofia. Non bastasse ciò, la disparità di trattamento è evidente anche nelle retribuzioni. I circa 25 mila insegnanti di religione italiani percepiscono uno stipendio quasi doppio, rispetto ai colleghi delle altre materie. Una prassi questa, bocciata dalla giustizia italiana, che ha condannato il Ministero dell'Istruzione a parificare i trattamenti retributivi. Infine, i prof di religione sono i soli a salvarsi dall'ondata di tagli previsti dalla riforma della scuola targata Gelmini. Per bocca dello stesso ministro saranno proprio i docenti di religione insieme a quelli di sostegno (e ci mancherebbe pure!) a non essere minimamente toccati dagli esuberi previsti (saranno circa 8 mila i docenti “tagliati”). Insomma per chi ancora non l'avesse capito l'insegnante di religione è ormai rimasto l'ultimo posto di lavoro fisso, sicuro e ben retribuito che questo paese offre ai propri cittadini. (Repubblica on-line 8.10.2008)

Risposta:

L’Accordo di revisione dello stesso Concordato sancito con legge 121 del 25 marzo 1985 nell’articolo 9.2 stabilisce, a mio avviso, una continuità ed un orientamento nuovo, quando dice: “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”.

Più che evidente la continuità con il passato (la sottolineatura della parola continuità è mia), ma anche da evidenziare il nuovo assetto dell’IRC che viene messo in relazione non con l’istruzione pubblica, ma con il patrimonio culturale del popolo italiano e sempre in rapporto con le finalità della scuola.

Sono due le sottolineature che vanno bene evidenziate: da una parte per chiarire le caratteristiche di un insegnamento che si inserisce nella formazione culturale dell’alunno e dall’altra per distinguere l’IRC dalla catechesi che ha come finalità di formare il credente.

Ma valore culturale del cattolicesimo non significa insegnamento dimezzato o di un generico cattolicesimo che non conosca i suoi aspetti caratteristici e individualizzanti, ma conoscenza precisa nella sua interezza, che comprende fonti, contenuti della fede, aspetti di vita, espressioni di culto e quant’altro è necessario per apprenderlo. E il tutto orientato alle finalità scolastiche che sono di conoscenze di quella specifica cultura italiana, e oggi dovremmo dire europea ed occidentale, che non è possibile spiegare e conoscere in tutte le sue forme (letteratura, arte, musica …) senza il cattolicesimo.

Nel protocollo addizionale alla revisione del Concordato, in relazione in relazione all’articolo 9, viene ribadito che “l’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica” e lo stesso si dice degli insegnanti delle scuole materne ed elementari.

La contestazione perché i docenti non soltanto saranno scelti dalla curia e pagati dallo stato, ma sono assunti per legge”.

E sempre in quel pianeta così variegato anticlericale è facile cogliere punte non solo polemiche ma piene di acredine e spirito fazioso che risente di una certa ereditarietà e debito verso una cultura laicista e anticlericale annidatasi per lungo tempo nelle nostre aule scolastiche e che fa dire ai giovani “si faccia la chiesa le sue scuole e lì dia i suoi insegnamenti religiosi”.

Vorrei dire e con tutta serenità che non la Chiesa ma lo stesso Stato deve nelle scuole pubbliche avere il coraggio di trasmettere la genuina cultura del popolo italiano che respira cristianesimo e cattolicesimo in specie da tutti i suoi pori.

Anche espressioni di dissenso e di contrasto con il cattolicesimo non si possono comprendere senza il confronto con quella matrice culturale che viene contestata.

A ognuno il suo compito: alla Chiesa quello di far crescere nella fede una comunità nazionale che oggi stenta a riconoscere nel cattolicesimo la sua identità e che, perdendo il senso di quella precisa qualifica, necessita di una nuova evangelizzazione, allo Stato invece l’impegno di non far perdere traccia di quelle radici che ogni tanto emergono dal terreno roccioso e che sono ben profonde e affondano ancora per metri nel terreno sottostante.

Ed ora veniamo allo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica.

Non si tratta di un privilegio né di una benevola concessione, ma di un diritto che compete ad ogni lavoratore che abbia le carte in regola per essere assunto ed entrare nell’organico di una qualsiasi azienda.

Ogni assunzione da parte dello Stato soggiace a delle precise condizioni e requisiti stabiliti dalla Costituzione.

E’ importante come docenti avere il titolo di studio corrispondente alla disciplina di insegnamento. E il docente di religione l’ha acquisita con regolari studi universitari e con il conseguimento del titolo accademico.

In Italia non esistono facoltà teologiche statali e quindi lo Stato riconosce i titoli conseguiti presso le facoltà teologiche ecclesiastiche e relative affiliazioni, quali sono gli Istituti Superiori di Scienze Religiose.

E’ necessario superare un concorso reclamato dalla stessa Costituzione italiana e quindi è bene che gli IdR si convincano che tale esigenza è fondamentale per entrare nei ruoli. In molte lettere che pervengono a questo sito degli insegnanti chiedono di essere esonerati da tale concorso perché già in possesso di un titolo abilitante o perché insegnanti elementari o altro; ma è giocoforza convincersi che qualsiasi nuovo ruolo a cui si aspira richiede la verifica di un concorso.

Nel concorso che è sempre per insegnanti di una disciplina per la quale lo Stato non ha specifiche cattedre universitarie, si richiede, come condizione, il decreto di idoneità dell’autorità ecclesiastica. E’ evidente che la professionalità venga accertata e garantita da un pronunciamento dell’autorità che svolge il compito di assicurare tale preparazione. E’ qui che l’atipicità di tale insegnamento ha la sua radice ed espressione.

A molti è sembrata un’ingerenza nelle cose della “respubblica”. Ma chi è che può garantire che una determinata persona è veramente competente se non chi si qualifica come cattolica e detiene tale prerogativa?

Certo può suscitare qualche perplessità il fatto che la Chiesa dichiari competente solo chi si comporta seconda i principi di quella fede – il che è appunto uno dei criteri per dichiarare l’idoneità del docente – ma gli è che nel cattolicesimo conoscenza e vita sono inscindibili. Certo si tratta di un fatto non riscontrabile in altre discipline, ma anche questo è atipicità dell’insegnamento della religione cattolica.

Un altro requisito, e molto più importante del titolo, è il decreto di idoneità.

E’ pur vero che nella su lettera il professore parla di “superamento di formale idoneità IRC dal 1995”, ma non riusciamo a comprendere se questa significhi che ha ricevuto il decreto di idoneità da parte dell’Ordinario diocesano che comunque è un altro elemento importante perché non si può insegnare religione cattolica se non si è in possesso del decreto di idoneità rilasciato dall’Ordinario diocesano competente per territorio.

A questo punto è logico porsi le seguenti domande: l’istituto dell’idoneità perché esiste solo per gli insegnanti di religione? Quali esigenze deve difendere? Per chiarire meglio la risposta a queste domande, mi sembra opportuno richiamare prima la norma. Il Codice di Diritto Canonico impone all’Ordinario Diocesano di accertarsi che gli aspiranti all’insegnamento della religione cattolica “… siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica" (Can. 804). Non leggiamo però ancora la parola idoneità che troviamo però per la prima volta nel protocollo addizionale dell’Accordo di revisione del Concordato (Legge 121 del 23.3.1985) “…L’insegnamento della religione cattolica …. è impartito…. Da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica” e al punto 2.5 del DPR n. 751 del 16.12.1985 che afferma “l’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano e da esso non revocata”. A questo punto la risposta alle domande si può formulare in questi termini: l’istituto dell’idoneità permette di realizzare il principio che è la Chiesa il soggetto cui compete l’insegnamento della religione cattolica, per cui si ha effettivamente tale insegnamento solo quando il docente è in particolare rapporto di comunione e di identità con la comunità ecclesiale. L’insegnante di religione cattolica non solo deve insegnare correttamente il contenuto della religione cattolica, ma deve essere coinvolto in questo contenuto. Questa esigenza sta alla base non solo dell’idoneità, ma anche dell’eventuale revoca, perché il canone 805 prevede espressamente che “E’ diritto dell’Ordinario Diocesano del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedano motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi”.

Non è quindi un diritto, solo perché si è in possesso del titolo di qualificazione professionale, pretendere di insegnare religione, ma è importante essere in comunione con la Chiesa.

Cosa si direbbe di un docente di “Italiano” che parlasse in dialetto? O di docente di “Matematica” che non sa far di conto?

Al docente si chiede coerenza tra quanto insegna e quanto vive, perché la religione cattolica in chi la professa – e il Docente si suppone che lo sia – non può prescindere dalla vita della persona.

L’allievo, invece, può accettare o rifiutare quella fede che gli viene presentata non come proposta di fede, ma come animatrice della sua cultura, o meglio della cultura del popolo in cui vive.

Quanto poi all’intenzione recondita di cui vuole portatrice l’idoneità, credo che sia una supposizione del “giornalista”; invece essa, anche nella legislazione canonica, richiede competenza culturale, abilità pedagogica e testimonianza di vita.

In ultimo ricordo che gli insegnanti di religione vengono retribuiti come tutti gli altri insegnanti.

E questo piaccia o no agli anticlericali, ma è così.



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