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“Sperando contro ogni speranza” (Rom. 4,18)

Fonte:
CulturaCattolica.it

È sperare che è difficile, diceva Péguy. Per sperare bisogna aver ricevuto una grande grazia. Non è difficile riconoscere l’attualità di questo giudizio dello scrittore francese, morto sul fronte, nel 1913, durante la battaglia della Marna. Oggi la speranza è debole e vacillante, sia nella vita individuale che in quella sociale. Viviamo in un’epoca di crisi, gli intellettuali alla moda non conoscono questa parola che descrive l’esperienza di una vita visitata da “un bene”, appunto, da una grazia, da cui sembra si faccia di tutto per sfuggire in nome di una libertà senza legami. Se però, come ha detto il Papa in Francia, il Verbo si è fatto carne, è diventato un fatto in cui parla la Ragione eterna che ha assunto la nostra carne, allora, la nostra vita è stata toccata dalla Grazia: ci è stato donato un bene che ci permette di sperare per la sua forza presente. Egli è qui, diceva, ancora, Péguy. Dio non è un’idea consolatoria immaginata da noi, ma un fatto che interpella la nostra ragione e il nostro cuore. Allora le parole e le esperienze che capitano possono essere lette con una profondità che affonda le radici in una visione forte della realtà, in una concezione nobile dell’uomo. Una realtà letta come segno, indicatrice di una Presenza; un uomo considerato nella sua dignità infinita che ha commosso Dio, suo Creatore, piegatosi verso di Lui fino a sacrificargli il Figlio per salvarlo dalla corruzione e dalla morte in cui era caduto per superbia. Proviamo, in questa prospettiva, a considerare l’idea che la nostra società sia in crisi. Recentemente Benedetto XVI ha incontrato gli aderenti al movimento Retrouvaille, nato in Canada da due coniugi, diffusosi in Italia per interessamento della Cei. La spiegazione che il Papa ha dato del concetto di “crisi” si può allargare a un contesto più ampio di quello matrimoniale di cui si stava parlando. Nella vita di tutti ci sono momenti di crisi, più o meno serie. Dice il Papa che la crisi costituisce una realtà a due facce, quella che noi riconosciamo, che dichiara dolorosamente il nostro fallimento, e una che Dio vede, a noi spesso sconosciuta. Una crisi non vista come una tomba in cui sprofondare fino a che il tempo permetta di riemergere un po’ più ammaccati e sempre tristi, ma una realtà che possiamo guardare come un segno. “Ogni crisi è passaggio ad una nuova fase di vita”. Passaggio non meccanico, ma che “implica la libertà e la volontà, dunque, una “speranza più grande” della disperazione”. Dove si trova questa “speranza più grande” quando il buio invade il cuore e i pensieri? In un “noi”, dice il Papa, in una compagnia di amici, custodi della speranza perché legati a Colui che dona la speranza dentro la comunione della Chiesa. Il cristianesimo è un fatto che porta nel mondo una novità di vita. Per superare la crisi occorre che l’uomo non sia solo, non si rifugi nelle analisi che frantumano l’io, ma incontri qualcuno toccato dalla Grazia. Questa è la nostra responsabilità. Far parte del “noi” della compagnia di amici che si piega sulle sofferenze di chi ci sta accanto. Affidiamoci a Maria, madre della Speranza. “Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici!”. La gioia che solo la fede può donare.

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