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Al Meeting di Rimini la cultura è un incontro

Fonte:
CulturaCattolica.it

Sono passate da poco le 10.30. Una voce all’altoparlante avvisa i volontari che i padiglioni della fiera stanno per aprirsi: inizia una nuova giornata. Si diffonde la musica che ogni mattina accoglie i visitatori. “Quando uno ha il cuore buono, non ha più paura di niente, è felice d’ogni cosa, vuole amare solamente”. È una musica dolce, cantata dalla voce calda di Claudio Chieffo, di cui si è ricordato il primo anniversario della morte durante la Messa inaugurale del Meeting. Mi sposto dalla sala stampa alla balconata sopra l’ingresso principale. Fa bene al cuore questa melodia, aiuta a prendere coscienza di sé. Osservo la folla che si muove veloce verso le sale degli incontri e mi torna alla mente l’episodio manzoniano dell’Innominato. Dopo una notte insonne, in lotta con se stesso, con il proprio male, alla disperata ricerca del significato di una vita che gli sembrava insopportabile, ode improvvisamente uno scampanio, prima lontano, poi più vicino e si chiede che allegria ci sia, corre alla finestra e osserva gente che si avvia in una stessa direzione, con “un’alacrità straordinaria”, mossi “da una fretta e da una gioia comune”. Il bravo lo informa: era arrivato il cardinal Federigo Borromeo ed erano “invogliati tutti d’andare a vedere quell’uomo”. Qualcosa di simile a quello che sto osservando: gente che si muove per un avvenimento, per qualcosa che è accaduto e che rende lieta la vita. Per questo si va di fretta, perché partecipare a ciò che accade corrisponde a un’urgenza del cuore. La giornata al Meeting sarà piena d’incontri, con uomini impegnati a vivere fino in fondo la propria esistenza, protagonisti, appunto. Protagonisti che raccontano e protagonisti che ascoltano, protagonisti che lavorano negli stand, alle mostre o alla ristorazione. Per molti si tratta di giorni di ferie donati per la costruzione di un’opera in cui si sentono espressi. Ognuno ha qualcosa da raccontare. Salih Osman, premio Sacharov 2007, ha detto: “Mi sono accorto che a voi della vostra religione la vita degli altri interessa veramente”. Sì, la vita interessa perché ha un senso, ha un valore sperare e lottare nella quotidianità. Il ciclo d’incontri “Si può vivere così” ha sviluppato l’interesse per la vita. Qualche esempio: padre Aldo Trento, missionario in Paraguay, ha fondato opere indirizzate al recupero dell’umano dopo aver imparato da don Giussani che “prendere sul serio la propria umanità senza censurarla è la strada necessaria perché riaccada l’incontro con Cristo”; alcuni detenuti del carcere di Padova che grazie al lavoro offerto dalla cooperativa Giotto che opera all’interno del carcere, sono stati aiutati a trovare un senso per la loro vita; tre grandi opere sociali come il Banco Alimentare -un aiuto per tante famiglie a contrastare la povertà, il Banco Farmaceutico – in aiuto agli enti assistenziali ha organizzato magazzini in contatto con le farmacie per disporre dei farmaci più usati e il Banco Informatico – che raccoglie e dona computer. Uno dei fatti sorprendenti del Meeting è che, sia gli incontri di testimonianza come quelli citati, sia le tavole rotonde con studiosi e personaggi di fama internazionale, sono animati dallo stesso spirito e dallo stesso intento: sviluppare e testimoniare una cultura, cioè un giudizio critico e sistematico sull’esperienza, al cui centro è l’uomo. Le osservazioni sul titolo, “O Protagonisti o Nessuno”, hanno costituito il filo conduttore esemplificativo di questa posizione culturale. L’astrofisico Bersanelli ha osservato come la scienza moderna dimostri la vastità del mondo, l’immensità dello spazio e del tempo, nei quali l’uomo è un istante risibile: anche il più grande potere, o il successo personale, è insignificante di fronte a una grandezza. Che cosa può reggere il confronto con l’immensità? Come fa l’uomo ad essere protagonista?, si chiedeva lo scienziato. Qui che si pone il crinale per la ragione e per la libertà dell’uomo. L’osservazione leale della condizione umana porta la ragione a riconoscere che, in ogni istante, l’“io” non si fa da sé, l’esistenza gli è data, donata da un Altro. Riconoscere questa Presenza misteriosa e reale fa sorgere un approccio con la realtà carico di simpatia e di meraviglia, in cui la persona si concepisce dipendente, costituita da un rapporto che la genera continuamente. Così, l’“io” scopre la sua irriducibilità in relazione a un rapporto che lo origina e lo compie. Al contrario, l’“io” che non accetta la dipendenza ma si concepisce autosufficiente, scopre, prima o poi, di essere asservito al potere del momento, di non essere padrone di se stesso. È la pretesa di autonomia della società postmoderna, in cui si manifestano contraddizioni palesi e un vuoto profondo. Cesana intervenendo a una tavola rotonda, “Non siamo fatti per essere soli”, ha affermato che anche la solitudine è un questione di ragione: riconoscere che siamo dipendenti fa scoprire in noi stessi un rapporto all’origine di noi stessi che rompe la solitudine. Nel nostro intimo, nella nostra coscienza, scopriamo la prima compagnia alla nostra persona. Allora il protagonista della storia è l’uomo che, proprio perché dipende, domanda di conoscere ciò che lo fa vivere. Accade così un paradosso che non ha paragoni: l’uomo che domanda è nel contempo cercato da Cristo. “Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”. Per questo protagonista.

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