A proposito di «islamicamente corretto»
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Carissimo don Gabriele,
dopo aver letto il resoconto dell’Osservatore Romano sui due convegni in cui è stato affrontato il tema del rapporto tra l’islam e il cristianesimo in Europa, non posso che restare attonito per questo ennesimo attestato di relativismo religioso e di islamicamente corretto. Vi è un pericoloso e annoso vizio logico e procedurale in base al quale si immagina a torto che per poter dialogare con i musulmani bisogna aprioristicamente attribuire all’islam pari dignità rispetto al cristianesimo, elevandolo così a religione della verità, della vita, dell’amore e della libertà. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’Europa si sta trasformando sempre più in un colosso materiale senz’anima, in profonda crisi di valori e di identità che rinnega il radicamento e il primato della fede in Cristo quale base della propria civiltà e umanità, e che finisce per soccombere sempre più al radicalismo e all’integralismo islamico tramite la proliferazione delle moschee, scuole islamiche, enti finanziari islamici, tribunali islamici e talvolta - come è stato il caso della Gran Bretagna - campi di addestramento alla Jihad. Ignorare tutto ciò significa semplicemente ignorare la corretta rappresentazione della realtà per quella che è, senza infingimenti e mistificazione, e non voler guardare in faccia la verità. Questi dialoghi interreligiosi sono del tutto decontestualizzati dalla realtà attuale, facendo finta che saremmo all’anno zero della storia, e sono del tutto svuotati di contenuto, facendo finta che vivremmo in un mondo immacolato. Magari! Tutti noi ce lo auguriamo di cuore, ma oggi siamo chiamati ad assumerci la responsabilità storica di riscattare l’Europa dal baratro del relativismo etico e dell’islamicamente corretto, per poter reimpostare il dialogo necessario con i musulmani su delle basi veritiere e oggettive, incentrate sul rispetto dei valori non negoziabili in quanto sostanziano l’essenza della nostra umanità, al fine di perseguire concretamente il bene comune e l’interesse collettivo dell’umanità. Ti abbraccio fraternamente nella fede in Gesù e ti auguro ogni bene.
Magdi Cristiano Allam
Incontri internazionali in Belgio e in Italia
Cristianesimo e islam in Europa
Come viene accolto l’islam dalla cosiddetta Europa cristiana? Come affrontare la paura dell’islamizzazione del vecchio continente e quali sono le possibilità di una “europeizzazione” dell’islam? I rapporti tra islam e Europa, spesso segnati - soprattutto dopo l’11 settembre 2001 - da inquietudini e incomprensioni, sono sempre sotto i riflettori, al centro del dibattito e della riflessione, suscitando interrogativi dalla non facile risposta. Negli ultimi giorni due importanti incontri internazionali sul tema si sono proposti all’attenzione dell’opinione pubblica. Il primo in Belgio, a Bruxelles, presso la sede del Parlamento europeo. Il secondo in Italia, presso Villa Cagnola di Gazzada, in provincia di Varese.
Nel primo caso si è trattato di un seminario - il terzo di una serie di quattro - organizzato in occasione dell’anno europeo del dialogo interculturale dalla Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea (Comece), dalla Commissione Chiesa e Società (Csc) della Conferenza delle Chiese europee e dalla Konrad Adenauer Stiftung (Kas), in associazione con partner musulmani.
Tra i principali relatori dell’incontro Sara Silvestri, dell’università di Cambridge e della City university di Londra, la quale ha sottolineato come l’islam abbia indubbiamente contribuito alla crescita e all’evoluzione della cultura e del sapere scientifico in Europa, avendo invece, contrariamente al cristianesimo, meno influenza sull’organizzazione politica e legale della società.
Tuttavia, secondo la studiosa, è ormai ora di abbandonare l’idea per la quale le identità culturali siano stabilite una volta per tutte e, soprattutto, che i musulmani appartengano a una categoria monolitica. E - ha anche osservato - alcuni concetti come la preoccupazione per il benessere di ogni persona, la santità della vita e l’impegno da parte dei credenti nella sfera pubblica sono condivisi sia dall’islam che dal cristianesimo.
Dai rischi di fraintendimenti e delle false interpretazioni dell’islam ha messo in guardia - secondo quanto si legge in un comunico della Comece - il rappresentante della comunità islamica della Serbia, lo sceicco Abdullah Nu’man. Interpretazioni ha detto “derivanti dal Corano”, ma “ricoperte da una serie di tradizioni culturali che provocano fraintendimenti”.
Da un punto di vista teologico, ma anche demografico - ha constatato - la paura di un’invasione islamica e dell’imposizione della legge islamica, cioè della sharia, è senza fondamento. Allo stesso modo, ha denunciato una certa “islamofobia” come pretesto razzista usato per spargere odio o discriminare i cittadini musulmani. Questi ultimi - afferma - “amano l’umanità perché proviene da Dio e amano Dio perché ci ha creati”, e la loro religione riguarda “il parlare e l’amarsi reciprocamente”.
Il metropolita Emmanuel di Francia, rappresentante del patriarcato ecumenico presso l’Unione europea, ha registrato come ormai le sfide che nascono dai rapporti tra le religioni sono parte della società europea e riguardano ogni ambito della società.
Secondo il metropolita, in Europa “molte persone hanno una paura irrazionale ma storicamente modellata dell’islam, promossa dalla rappresentazione parziale e stereotipata di questa religione nei media e dalla generale mancanza di conoscenza dell’islam”.
In questo contesto, il metropolita ha esortato le istituzioni europee, le Chiese e i vari media ad affrontare con decisione i sentimenti di paura generati dal diffondersi dell’islam. Un passo in questa direzione - ha detto - potrebbe essere il trattamento egualitario nei mezzi di comunicazione e l’insegnamento di tutte le religioni nelle scuole. In particolare “sottolineando le figure comuni tra le religioni più che le differenze” si dovrebbe “poter identificare priorità comuni e offrire una visione per l’Europa”.
Di fronte a queste considerazioni, il deputato danese Margrete Auken ha sottolineato la necessità di “andare avanti, ascoltare e imparare gli uni dagli altri per superare le incomprensioni”, affermando che il dialogo con le religioni previsto nel Trattato di Lisbona è “sia un dovere che un privilegio”.
Quello del dialogo è del resto un cammino ormai intrapreso con decisione. Il quarto e ultimo seminario in programma presso la sede dell’Ue si svolgerà in una data significativa - l’11 settembre prossimo - e affronterà la questione delle relazioni esterne dell’Unione europea con i Paesi musulmani, concentrandosi in particolare sulla reciprocità in termini di libertà religiosa per i musulmani nei Paesi europei e per i cristiani in quelli islamici.
Temi decisivi, questi ultimi, al centro anche del seminario tenutosi in provincia di Varese e che ha visto la partecipazione di monsignor Luigi Stucchi, vescovo ausiliare di Milano, del gesuita Samir Khalil Samir dell’università di Beirut, di Khaled Fouad Allam docente alle università di Trieste e Urbino e di Sumaya Abdel Qader, presidente dell’Associazione donne musulmane in Italia (Admi). “Il cammino del dialogo interreligioso - ha dichiarato in apertura dell’incontro monsignor Luigi Mistò, direttore di Villa Cagnola - deve partire da un punto preciso che accomuna i fedeli delle diverse confessioni: l’esperienza di fede autentica”.
Il tema religioso - ha proseguito monsignor Mistò - “è decisivo nella creazione della nuova Europa, della civiltà dell’amore che può nascere soltanto attraverso il dialogo”. Ma a tre condizioni: “Innanzitutto che la conoscenza reciproca sia oggettiva, quasi scientifica, per evitare quello che si può definire il conflitto delle ignoranze”. In secondo luogo, non può mancare “una valutazione positiva dell’esperienza dell’altro, che sottolinei gli aspetti che uniscono, più di quelli che dividono”. Infine, è sempre più urgente una vera opera di educazione all’accettazione, alla stima e al rispetto. Evitando in ogni modo, però, “il pericolo di appiattire per questo la propria identità”.
Per Khaled Fouad Allam, “il cambiamento di paradigma avvenuto dopo l’11 settembre 2001 ha spostato il pensare dalla categoria dell’universalismo, tipico europeo, a quella dell’etnia”. E questa etnicizzazione dei processi sociali “ha reso difficile creare una società dominata dall’universalismo”.
L’islam - ha aggiunto - “non deve essere solo un corpo di testi, seppur fondamentali, ma è necessario sia anche esperienza di vita e di tradizione”. Solo in questo modo “l’islam può evitare l’assolutizzazione del diritto in favore di una maggiore capacità culturale”. L’auspicio di Allam è dunque che si possa “giungere a un islam dei lumi. Ma ciò è possibile solo con il dialogo interreligioso”.
(©L’Osservatore Romano - 7 - 8 luglio 2008)