Rom. Impronte ai bambini invisibili
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Si parlava l’altra sera tra amici, mentre il ventilatore spostava l’aria calda e le zanzare sfidavano i nostri metodi empirici di allontanamento, seduti attorno a un tavolo si parlava di bambini, della loro educazione, si parlava delle classi oramai sempre più multietniche e di come molti bambini stranieri non vadano a scuola, vengano usati per l’accattonaggio, quando va bene, se non per altro.
Che fare?
Chiudere gli occhi? far finta che non potendo fare nulla, nulla si debba fare?
Scacciare il disagio e la domanda che inevitabilmente si pone quando vedi quei piccini allattati da madri che sedute sul marciapiede ti porgono la mano per riceverne un'elemosina che non può e soprattutto non deve placare il disagio, mentre corri alla tua meta e non puoi fare a meno di domandarti - che ne sarà di quel neonato?
Forse l’idea di prendere anche ai bambini le impronte digitali non è buona, ma altre migliori non ne abbiamo sentite.
Diceva uno dei miei amici: “Appena un figlio nasce, lo registri all’anagrafe, gli fai il codice fiscale e la tessera sanitaria, non siamo forse tutti schedati?”
Già, schedati.
Funziona così, siamo tutti schedati, altrimenti addio diritti civili, vaccinazioni obbligatorie, iscrizione alla scuola dell’obbligo.
Che fare, ci indigniamo?
No, funziona così in un paese civile e democratico, allora perché tanto livore verso la proposta del Ministro Maroni di conoscere quanti bambini nascono e vivono nei campi Rom?
Non hanno anche loro diritto ad essere vaccinati, curati, istruiti?
L’inciviltà, la crudeltà non sta nel voler conoscere chi sono, quanti anni hanno, di chi sono figli, ma piuttosto nel vederli usati per chiedere l’elemosina, nel vederli rinnegati quando presi con le mani nelle tasche dei passanti nessuno dice: “è mio figlio”, nel vederli ridotti a cosa, a merce di scambio a strumento per fare guadagno.
Chi s’indigna e parla di integrazione, di accoglienza, vuole una buona volta per tutte, fare delle proposte concrete, mi piacerebbe capire cosa si possa fare per aiutarli ad andare a scuola, a vivere un’infanzia dove i pomeriggi si passino ad allenarsi a giocare a pallone e non ad allenarsi al furto con destrezza.
Mi piacerebbe sapere come aiutare quelle piccole donne a crescere volendosi bene, e non dispensando sorrisi e qualche volta insulti a chi non si fa lavare il finestrino al semaforo.
Non possiamo indignarci se prendono loro le impronte digitali e poi essere indifferenti davanti a quelle bambine vendute.
Ho l’impressione che a volta l’indignazione sia per così dire, “ideologica” ma non porti ad una soluzione migliore.
Certo, prendere le impronte digitali, per sapere chi sei, se sei iscritto a scuola, se sei stato registrato all’anagrafe alla nascita o se sei un bambino invisibile forse, non è il più bello dei metodi, la soluzione migliore, ma non trovandone per ora altre, credo che qualcosa si debba iniziare a fare.
Perché c’è un popolo invisibile che ha bisogno di sapere che c’è un’alternativa, poi spesso il cambiamento non è nelle nostre mani, ma nella loro libertà. Ma devono almeno sapere che c’è una speranza, un’occasione di cambiamento offerta loro. O no?