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No, non è reato, ma…

Fonte:
CulturaCattolica.it
“E' reato discuterne?” chiede provocatoriamente il mio amico Fabio Cavallari. No, ma è scomodo

“E’ reato discuterne?” chiede provocatoriamente il mio amico Fabio Cavallari.
No, ma è scomodo, perché ti interroga, come donna, come società, ti chiede conto di ciò che dici e soprattutto di ciò che fai.

Un figlio ti “interroga” sempre, sia tu scelga di farlo nascere, ma ancora di più se scegli di non dargli questa possibilità.
Allora è meglio rimuovere anche il pensiero, in nome della libertà di scelta, naturalmente.
Perché affermare che la vita va difesa, che l’aborto è un dramma, è diventato un ritornello.
Ma dopo l’enunciazione di principio ci vogliono i fatti che dimostrino che alla vita ci teniamo e che quel dramma vogliamo, se possibile, evitarlo.

Ti racconterò alcuni episodi della mia movimentata e allegra vita.
Ho tre figli, sono nati nel 1983 – 85 – 86.
Noi eravamo molto giovani, molto innamorati, anche se meno di ora, di certo eravamo al verde.

Il problema dell’aborto non si è mai posto, ma qualcuno che ci voleva e ci vuole molto bene ce lo ha proposto: “Dio ti perdonerà, ne hai già due”.
Anni dopo, vedendo i nostri figli crescere, questa persona che è una persona buona, che poi ci è stata vicina come una nonna premurosa, mi ha ricordato l’episodio e mi ha chiesto scusa.
Questo per dirti che a volte la mentalità vince sul cuore.

Però c’è stato un anonimo che non ha mai chiesto scusa.
Ci aveva messo nella casella della posta una busta con una lettera e un preservativo.
La lettera anonima, scritta con una macchina Olivetti Lettera32 - (non so perché, ma ho memorizzato il particolare) era firmata - movimento per la vita - (scritto in rosso) e spiegava, a noi che dovevamo apparire degli sprovveduti, che esistono metodi per non fare i figli.

Dopo il terzo figlio sono andata in consultorio per una visita di controllo, la signora che compilava la cartella clinica, mi ha detto: “signora mia, tre figli, lei è così giovane, qui bisogna fare qualcosa” e mi ha consegnato del materiale informativo sui metodi anticoncezionali.

Con tre figli cercavo un lavoro part-time e ho risposto ad un’inserzione sul giornale locale, sono andata a fare il colloquio, il clima era cordiale, la cosa sembrava fatta.
Al termine del colloquio mi hanno consegnato un modulo da compilare, nome, cognome, figli, età dei figli, quando la signora lo ha letto (anni 5,3,2) è sbiancata, “scusi, ma l’ho vista così giovane, noi cerchiamo una ragazza, non una mamma” e ha stracciato la mia domanda di lavoro.
Era un’azienda che commercializza depuratori per l’acqua e anni dopo, quando ho aperto lo studio di amministrazione condominiale il titolare è venuto a propormi i suoi prodotti, non sai che soddisfazione potergli dire “se conosco la sua azienda? Ma certo, come dimenticarla, anni fa mi avete strappato davanti al naso il foglio di assunzione perché ero la mamma di tre bambini”.

Racconto questo per dire che voler bene alle donne, alla vita, alla società, passa per scelte concrete.
Che dire che l’aborto è un dramma, ma lasciare che il dramma si compia è “favoreggiamento”.

Le famiglie hanno bisogno di concretezza.
L’aborto per essere l’ultima chance, deve avere proposte alternative.
La maternità non deve essere una penalizzazione, un atto eroico, ma un gesto d’amore condiviso concretamente dalla società.
Le mamme hanno il diritto di poter scegliere se vogliono fare le mamme, e se vogliono lavorare devono poterlo fare senza rischiare l’esaurimento nervoso.
La politica non deve dire che vuole bene alla famiglia, deve farlo vedere.

I miei figli sono cresciuti, studiano, sono universitari, ma si sono trovati un lavoretto per contribuire alle loro spese.
Questo lavoro non li rende di certo autonomi, ma supera i duemilaseicento euro lordi annui, così a noi non spetta più la detrazione per i figli a carico e quando paghiamo le tasse universitarie il loro reddito si somma al nostro, e le tasse aumentano. Francamente mi è sembrata una punizione per chi ha buona volontà.

Smettiamola di fare enunciazioni di principio, guardiamo in faccia la realtà.

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