E' reato discuterne
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Il telegiornale di Italia Uno, in data odierna (14 marzo 2008) ha dato notizia di un’indagine effettuata da una giornalista di “Tempi Moderni”, la quale fingendo di voler effettuare un aborto si è recata in un consultorio per iniziare la pratica che l’avrebbe portata all’interruzione di gravidanza. Nessuna domanda, nessun percorso di consapevolezza, nessun tentativo di comprendere i motivi della scelta. E’ bene sottolineare che la legge riconosce nei consultori familiari i soggetti atti ad assistere la donna in stato di gravidanza, ad informarla e contribuire a far superare le cause che potrebbero indurla ad abortire. I medesimi (sempre come cita la legge) hanno il compito, oltre a garantire gli accertamenti medici, di esaminare con la donna le possibili soluzioni dei problemi proposti e qualora la scelta della donna fosse irrevocabile di richiedere sette giorni di riflessione prima di procedere al via libera per l’interruzione di gravidanza. Il metodo testé illustrato presuppone un elemento inconfutabile: il medico del consultorio deve conoscere la donna che si appresta ad abortire. Tutto ciò non è accaduto alla giornalista di “Tempi Moderni”. Esattamente due anni fa (era il 23 marzo del 2006) raccontai su Tempi la storia di Teresa (il nome ovviamente è frutto di fantasia) che trovatasi sola e spaventata per una gravidanza indesiderata, ha telefonato al consultorio della sua zona per sapere che cosa doveva fare per risolvere il suo “problema”. Il medico, molto cortese e premuroso, le ha spiegato che se lei era veramente convinta di abortire non erano necessari colloqui preliminari. Le ha consigliato di provvedere all’esame delle urine e di recarsi poi in uno dei due ospedali del loco, dove l’assenza di obiettori le avrebbe evitato ulteriore noie. Avete capito bene. Tutto è avvenuto via telefono! Teresa ha abortito. La 194 con lei è stata palesemente violata. E’ un reato discuterne?