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Quali ideali per i giovani?

Autore:
Turroni, Paola
Fonte:
CulturaCattolica.it
Ci lamentiamo spesso che i giovani manchino di ideali, ma tutto quello che facciamo è riempirli di mezzi, quasi che i mezzi fossero loro sufficienti per la ricerca dei fini. Non siamo capaci di riconoscere che, pur avendo fatto grossi passi nella ricerca dei mezzi, siamo ancora ai primi passi nella ricerca dei fini.
A. Einstein

Li guardo giocare, 11 con la maglietta rossa insieme ad altri 11 con la maglietta verde, li guardo giocare e mi chiedo cosa ci sia ancora di straordinario lì dentro che non c’è più fuori dal campo. Perché questo percepisco, che lì dentro c’è una differenza.
Non sono una tifosa di calcio, ma ho imparato a conoscerlo un poco, dal basso, occupandomi di minori. A conoscere l’effetto che fa avere uno spazio e un pallone, e qualcuno con cui giocare. Ho imparato qualche termine, ho seguito qualche partita, voglio capire dove sta la differenza. Non voglio fare l’apologia dei campetti di provincia, o cantare la magia di uno sport che si pratica in tutte le strade del mondo, non voglio nemmeno innalzare a priori il ruolo formativo delle società sportive. C’è chi l’ha già fatto, e chi lo può fare, meglio di me. Mi chiedo allora, qual è la differenza? Li guardo giocare e intuisco, la profondità.
Intendo profondità proprio in senso spaziale. I ragazzini entrano in campo in fila, in obliquo. Tagliano lo spazio che poi occuperanno, correndo, rincorrendo. È un’appropriazione del luogo che abitano, un senso si appartenenza attraverso la fisicità, la forsennata voglia di occuparlo tutto, di condividerlo. Non è uno schermo piatto, come quasi tutto quello che fanno, ma 100x65 metri di erba e terra da attraversare. Non solo, profondità di sguardo. Si guardano, si chiamano, devono guardare oltre il proprio metro per essere efficaci, devono controllare la palla, certo, ma sapere anche dove sono tutti gli altri, quanto spazio c’è tra sé e gli altri. Guardare oltre, guardarsi attorno, avere consapevolezza. È un allenamento alla vita, devono imparare questo. Perché la differenza sia costruttiva, un punto di partenza per formare uomini e non copie di calciatori, è importante capire che non è data per scontata, ma che va intuita, difesa, messa alla prova, continuamente rispecchiata, pretesa. È un compito severo, difficile, che ogni allenatore deve portare avanti. Tagliando trasversalmente il calcio dello schermo piatto, riportandolo alla dimensione educativa. Li guardo giocare, sporchi e seri, assoluti adolescenti, e ho un timore, che questa occasione sia sprecata. Gli adulti provano nostalgia per i loro passati campetti, “ai miei tempi” si commemorano a vicenda, oppure si lanciano in pronostici e folli sogni di gloria, scollegando il calcio dei propri figli dalla realtà quotidiana, dove invece dovrebbe restare, e servire. Persi tra passato e futuro non guardano adesso i loro ragazzi, finalmente sporchi e seri, dentro uno spazio in carne e ossa.
Bisogna tradurre quel campo profondo nella vita. La bellezza condivisa di una regola, la predisposizione al confronto, la collaborazione inevitabile dei ruoli. Avere un corpo da mettere in gioco col corpo dell’altro, avere corpo, profondità di campo, prospettiva. Sapere con fermezza, da adulti, che i ragazzini hanno proprio questo bisogno, mentre sono lì a un passo da perdere anche questo spazio, ci stanno dicendo, insistendo, che c’è qualcosa in quel gioco che parla di loro e gli insegna. Gli allenatori di calcio delle piccole società sportive hanno un mezzo straordinario, ma senza questi fini, diventa un altro schermo piatto.

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