Lettera aperta a Marcello Cini sul Metodo Scientifico.
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Professor Cini,
immagino che lei si sia ormai stancato del gran parlare intorno alla polemica sulla visita del Papa. Per questo non intendo entrare nella questione specifica, benché avrei parecchie cose da dirle. Mi sono sentito, infatti, toccato sul vivo, come fisico e scienziato (alle primissime armi), come cattolico, come cittadino.
Non impiegherò, dunque, tempo a ricordare e commentare gli aspetti fondamentali dell’incresciosa vicenda: in questa sede intendo soffermarmi su un particolare apparentemente secondario. Tale aspetto riguarda lei, professore, lei e la scienza.
In ambito scientifico ho certamente molta meno esperienza di lei, ma, mi corregga se sbaglio, ho imparato che il cardine del Metodo Scientifico è l’esperimento. È questa la grande lezione di Galileo: concepire un modello, esprimerlo con adeguato linguaggio matematico, metterlo alla prova dell’esperimento. Se l’esperimento, ripetuto dieci, cento, mille volte, in svariate condizioni, dà esito negativo, non si scappa: il modello, la teoria è un fallimento, è da buttare (mi perdoni il linguaggio scarsamente scientifico). Fin qui penso che lei convenga con me.
Ora, in alcune interviste lei ha dichiarato di esser stato per tutta la vita uno scienziato e un comunista. Bene: il comunismo è un modello che vorrebbe spiegare la storia e la società, un modello che è stato ampiamente sperimentato, in contesti diversissimi, in tutto il mondo. Esso prevede che si instauri pace, libertà e benessere nelle compagini umane in cui venga applicato. Nostante ciò, è ben noto come tale teoria sia stata in grado di produrre esclusivamente miseria e dittatura, dittatura e miseria.
Guardi la questione da un punto di vista esclusivamente scientifico: poche teorie scientifiche hanno avuto occasione di essere verificate così tante volte, in un così ampio spettro di casi, per un tempo tanto lungo. Qualunque modello fisico che avesse dato gli stessi risultati, ossia che si fosse rivelato integralmente inadatto a spiegare la realtà e a trarre previsioni, qualunque scienziato l’avrebbe rifiutato, certamente lei innanzi a tutti. Invece, per sua stessa ammissione, ben sapendo i risultati che il modello comunista ha portato, per tutta la vita lei ha propugnato quel modello.
Ora, non le pare che da parte sua questo sia un atteggiamento profondamente, ferocemente antiscientifico? Per tutta la vita lei ha continuato ad asserire la validità del modello, infischiandosene dei dati sperimentali che lo contraddicevano. Giudicherebbe ragionevole un simile scienziato? Come giudicherebbe, per esempio, uno scienziato che pretendesse oggi di seguire ancora la fisica aristotelica? O un fisico che negasse la validità della meccanica quantistica? O un medico che volesse curare praticando salassi?
Quello che vorrei farle notare è che, per sua stessa affermazione, lei si è comportato in maniera profondamente irrazionale, usando la sua ragione e il metodo scientifico nel suo lavoro di fisico, e infischiandosene dei dati sperimentali, compiendo un atto di fede immotivato (anzi, continuamente contraddetto dagli esperimenti), nella sua condotta umana.
Insomma, professore, in questa contraddizione che ha vissuto, per sua stessa ammissione, lei si è rivelato un irriducibile nemico di quella stessa ragione e di quello stesso metodo scientifico cui lei ha dichiarato di aver dedicato la vita!
Mi permetto di chiosare con un modo di dire alquanto clericale: “da che pulpito viene la predica!”
Mi auguro che questa mia breve riflessione possa essere utile ad avvicinarsi alla vera scienza e a un uso coerente, cioè pienamente umano, della ragione.
In nome della ragione, in nome della conoscenza, in nome della scienza,
Jacopo Parravicini