In dialogo con gli ebrei
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Mi sarebbe ovviamente piaciuto sentire il discorso del Papa con la Sua voce, con la Sua inflessione, col Suo accento, che mi avrebbero richiamato alla mente e al cuore la lingua e la cultura di Kant e di Guardini, di Cohen e di Rosenzweig, di Sholem e di Buber e Benjamin, e che qualche sciocco pensa di aborrire perché in un periodo di tenebre per la Ragione, quella civiltà è stata stuprata e straziata da un regime criminale ma, fortunatamente, non uccisa. Ma questo purtroppo per la pratica intollerante di qualcuno che evidentemente non ha appreso la lezione terribile e tragica del secolo passato, e che crede ancora che bruciare i libri e impedire agli uomini di esprimersi con libertà, assoluta da una parte ma sottomessa alla ragione dall’altra, sia un esercizio legittimo e fors’anco giusto.
Discutere e affrontare i temi del discorso del Papa in una breve nota è più che una impresa disperata, impossibile; vi è condensata tutta la civiltà occidentale, oserei dire le radici greco-romane, giudaiche e cristiane, illuministiche e anche e soprattutto la riflessione più avanzata in campo etico e teologico del Novecento (non a caso ritornano i nomi di Rawls e di Habermas, due dei più importanti filosofi, anglosassone il primo, tedesco il secondo, del nostro tempo). Credo che se i maggiori filosofi analitici, soprattutto anglosassoni, del Novecento nel campo dell’etica, potessero ascoltare questo discorso, quando il Papa dice che: “Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee”, sarebbero molto d’accordo: Se dovessi sintetizzare al massimo direi che Benedetto XVI scrive un “Inno alla libertà”, così come un Suo grande predecessore aveva musicato “l’Inno alla Gioia”: peccato che i giovani a cui era soprattutto rivolto non lo abbiano potuto ascoltare. Questo inno alla libertà è modulato come un concerto o una sinfonia dove le note si susseguono secondo una armonia del pensiero.
Ma cerchiamo di riassumere:
1) l’uomo di fede, il Vescovo, “sorvegliante” e pastore, si rivolge anzitutto verso l’interno della comunità credente, ma il Papa, allo stesso tempo “è diventato sempre più anche una voce della ragione etica dell’umanità”. L’universalismo del messaggio si incontra con la particolarità dell’alterità. Personalmente mi sembra di poter notare in questa frase una grande disponibilità al dialogo e un riconoscimento pieno dell’autenticità della fede e delle credenze dell’altro. L’uso di “una” anziché “la” ha un significato profondamente innovativo, a mio parere, nell’ambito del pensiero cattolico
2) “La verità non è mai soltanto teorica… Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene”. Chi conosca anche solo superficialmente la ricerca filosofica greca e anche le sue derivazioni ebraico-ellenistiche (penso a Filone ebreo) non può che riconoscersi in questa affermazione.
3) “Il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista”: un ebreo ci ritrova il percorso che dalla liberazione dalla schiavitù in terra d’Egitto (Pesaci o Pasqua ebraica) arriva alla promulgazione della Legge (Torah) sul monte Sinai (Shavuot o Pentecoste). Ma il Papa a questo punto innesta su questa riflessione un nodo centrale del nostro tempo, che ci riguarda tutti: “…la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e del diritto dell’uomo”. Non a caso cita Habermas, di cui ricordiamo il bellissimo incontro monacense del 2004 dove fra l’altro fu dibattuto il problema della legittimità di una carta costituzionale, come presupposto della sua legalità, che si dovrebbe fondare sulla “partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini” e sulla “forma ragionevole in cui tutti i contrasti politici vengono risolti”. Sottolinea giustamente il Papa, chiosando Habermas che “Riguardo a questa forma ragionevole, egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un «processo di argomentazione sensibile alla verità». E’ detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in prassi politica”. Credo che difficilmente un grande filosofo laico e un uomo eminente della Chiesa, addirittura il Papa, si siano concessi reciprocamente così tanto.
4) Segue una discussione estremamente complessa su ragione e ragione vera. Che implicherebbero un approfondimento su teologia e filosofia definite “peculiare coppia di gemelli”, che devono procedere “senza confusione e senza separazione”, con riferimenti al pensiero tomistico, a Aristotile, Averroè e Maimonide (filosofie arabe ed ebraiche, nel testo del Papa). La conseguenza pratica è che ciò che dice la teologia e la fede… non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile”. E questa mi sembra una ulteriore risposta di rinnovata apertura alla autenticità dell’altro, non solo credente ma non credente.
5) Ciononostante il Papa si pone successivamente il problema che “l’uomo si arrenda davanti alla questione della verità” poiché annota “…il pericolo della caduta nella disumanità non è mai… scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale!”
6) Il rischio quindi è “che la filosofia… si degradi in positivismo… e che la teologia… venga confinata nella sfera privata…” Credo che sia questa la vera pretesa del laicismo moderno; non accettare la legittima presenza del pensiero religioso nella sfera pubblica, non comprendendo che la società contemporanea è post-secolare.
7) Conclude Benedetto XVI che se il Papa “non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà… è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio…”
Qui c’è tutta la nostra tradizione: Gerusalemme, Atene, Roma. Come il rabbino Neussner, che è servito al Papa per capire meglio il Discorso della Montagna, così anche noi ebrei seguiremo i Papa fin dove è possibile e ci congederemo da Lui quando le differenze teologiche fra la venuta e il ritorno del Messia diventano non conciliabili. Ma come diceva anche il rabbino Benamozegh, nel reciproco, assoluto rispetto, possiamo compiere un grande tratto di strada insieme. Parafrasando quanto detto da Rav Riccardo Shmuel Di Segni, abbiamo la massima stima di questo pontefice e per la sua dottrina; lo ascoltiamo sempre con interesse e attenzione, anche se non necessariamente sempre con condivisione.
Guido Guastalla
Assessore alla cultura
Comunità ebraica di Livorno