Aborto: Quanto costa la vita di un bambino?
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È stato un bel regalo di Natale, quello fatto dalla Regione Lombardia e dal Comune di Milano a tutti noi, quando hanno deciso di stanziare somme consistenti (500mila euro la prima e 200mila il secondo) a favore del Centro di aiuto alla vita della clinica Mangiagalli. La dottoressa Paola Bonzi, che da oltre vent’anni ne è l’anima, aveva infatti presentato le proprie dimissioni come estremo gesto di protesta: il bilancio in perdita non consentiva più al Centro di continuare efficacemente la propria opera di sostegno alle madri in difficoltà. Eppure i risultati raggiunti nel 2006 erano clamorosi: 833 bambini nati, 833 donne che sono diventate mamme. La campagna di Avvenire, fatta generosamente propria da Giuliano Ferrara con un digiuno, ha prodotto un piccolo miracolo natalizio, e oggi la dottoressa Bonzi può proseguire la sua attività. Tutto bene quel che finisce bene, dunque.
Però, ci resta nel cuore un piccolo fondamentale dubbio, una domanda sospesa. Quanto vale la vita di un bimbo? Se un presidente di Regione e un sindaco possono decidere autonomamente, con coraggio, di stanziare fondi per ridurre il numero di aborti, perché non possono farlo altre Regioni, altri Comuni? Facciamo un rapido calcolo: se il Cav Mangiagalli ripetesse i risultati già ottenuti (ma la Bonzi spiega che le donne che si rivolgono a lei e ai suoi collaboratori sono in continuo aumento), per evitare un aborto e far nascere un bambino basterebbero, in molti casi, circa 800 euro. È quanto si ottiene dividendo i 700.000 euro promessi per gli 833 bambini che i volontari del Cav hanno contribuito in un anno a far venire al mondo. Speriamo davvero che ci siano altri amministratori disposti a investire questa cifra per offrire alle donne la libertà, vera e concreta, di tenersi un figlio.
Da tempo, su questo giornale, ripetiamo che la legge 194 va quantomeno applicata pienamente, e che è necessario adeguarla, attraverso magari un semplice atto amministrativo, alle nuove tecniche mediche. Il rischio è che si trasformi in un feticcio vuoto, una legge intoccabile a parole (quante volte ci è stato ripetuto che «la 194 non si tocca»?), e invece violata, disapplicata e stravolta nella prassi quotidiana. Qualcuno si ostina a non voler capire, a cercare lo scontro, a dividere rigidamente il mondo tra laici e cattolici. Ma a noi lo scontro non interessa. Ci interessano invece le vite concrete delle persone, ci interessa l’unione di tutti gli uomini e le donne di buona volontà; soprattutto, ci interessa aiutare chi aiuta, e lo fa in silenzio da tanti anni.
Parliamo dei volontari dei Cav. Alle madri non serve la retorica, se poi sono lasciate sole, se un figlio è visto come un lusso privato, e un aborto come una soluzione indolore. Quando ci si interroga sull’aborto, tutti, favorevoli o contrari alla legge, ripetono che si tratta di un evento doloroso che sarebbe meglio evitare. Allora, facciamo il possibile per evitarlo, mettiamo in pratica lo slogan dei Centri di aiuto alla vita: le donne devono essere libere di non abortire.
Negli ultimi giorni alcuni giornali stranieri hanno accusato l’Italia di aver perso la sua vitalità, di essere un Paese depresso e inerte, che non fa più figli e non si proietta nel futuro. Tocca al governo rendersi conto che la denatalità è probabilmente la prima urgenza di questo Paese, e che sono necessari provvedimenti audaci per la famiglia. Intanto, però, possiamo dare una mano alle donne che vanno ad abortire sotto la pressione delle difficoltà economiche, della solitudine, della paura. E rivolgiamo agli amministratori e ai politici la nostra piccola domanda: quanto vale la vita di un bimbo?