Ridare vita alla parola, ridare vita alla vita
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Qualche giorno fa, Magdi Allam sul Corriere della Sera ha proposto una riflessione lungimirante sull’immigrazione e l’uso della lingua italiana. Fornendo una chiara e dettagliata panoramica, il vicedirettore di via Solferino ha puntato il dito sull’inesistenza di una strategia governativa che impegni l’immigrato a conoscere la nostra lingua. “Oggi mi sento in debito” - ha dichiarato Magdi Allam - “con il fascino della lingua italiana che mi ha conquistato, ha contribuito alla mia promozione umana e ha favorito il mio successo professionale, fino al punto da ritenere doveroso impegnarmi per difenderla dalla trascuratezza ufficiale all’insegna di un relativismo culturale che si sta trasformando in una morte preannunciata, una sorta di eutanasia non dichiarata della nostra lingua nazionale che coincide con il suicidio della nostra civiltà”. Lungimirante dicevo, perché uno dei guasti più invalidanti prodotti dalla modernità riguarda proprio lo svilimento, l’assuefazione e il deprezzamento del valore intrinseco della parola. Problematica sottaciuta quest’ultima che non riesce a trovare voce neppure nelle alte sfere intellettuali del nostro paese. Eppure oggi è evidente la parola ha perduto ogni connotazione sostanziale ed è diventata esclusivamente uno strumento tecnico. La parola tecnica uccide il simbolo, e così facendo nega la capacità di rappresentare ciò che non è presente all’apparato sensoriale ma che tuttavia risponde ad un’esigenza vitale dell’essere umano. L’eutanasia della parola, per continuare ad usare la terminologia di Magdi Allam, determina la negazione di qualsiasi relazione tra uomini che non abbia come unico scopo convenienza ed utilità. Pietro Barcellona (Professore ordinario di filosofia e diritto all’Università di Catania), nel suo ultimo libro - “La Parola perduta” - così scrive: “L’effetto collaterale della trasformazione del linguaggio in scambio d’informazione non è qualche nuovo gioco alla moda o qualche sito in più da visitare in Internet, ma è lo strumento per il controllo totale della natura e per l’avvento della biotecnologia”. E’ proprio per questo motivo che oggi è necessario puntare l’indice contro la mortificazione della nostra lingua. La degradazione del nostro linguaggio coincide con la mortificazione della nostra identità, del nostro io. Etimologicamente il termine “parola” deriva da “parabola”. L’uccisione della parola è l’uccisione del padre, l’eliminazione della madre. Una società senza padri, senza genitori, è una società dell’indifferenziato. Riscoprano gli italiani il piacere della parola, ritornino a dare voce ai simboli, carne alle parabole, vita alla vita.