Il mondo degli ultrà
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Nando Sanvito, volto notissimo ai telespettatori, membro della redazione sportiva di Mediaset, da tempo si occupa di sport e in particolare dei suoi risvolti umani (è famoso il suo documentario “La forza dell’imprevisto”, in cui si raccontano commoventi episodi legati al mondo delle competizioni sportive). Lo abbiamo intervistato per conoscere il suo giudizio sui tragici fatti di domenica 11 novembre 2007.
D. Dalle parole dei protagonisti del calcio (Donadoni, Buffon, Riva) si coglie un senso di impotenza di fronte al ripetersi di tragici fatti di violenza attorno agli stadi. Ha detto Gilardino: “Siamo tutti sconfitti, si dicono sempre le stesse cose”. Questa violenza endemica ricorrente sembra una maledizione del nostro mondo sportivo. Quale è il tuo giudizio sui fatti di domenica 11 novembre?
Sanvito: Quello che è successo domenica, è prima di tutto un tragico episodio di cronaca: un terribile errore di un poliziotto che ha usato le armi per fermare un’auto in corsa sparando ad altezza d’uomo. Ma quello che è accaduto poi ha fatto emergere in modo prepotente quello che da mesi sta covando nel mondo del calcio. E’ evidente che lo sport in generale, ma il calcio in particolare, è un elemento aggregativo. Le curve dei principali stadi delle varie città sono da sempre un fenomeno di aggregazione e di identificazione; tuttavia sono anche un fenomeno che tende a creare un professionismo del tifo, perchè vi sono anche interessi economici che ruotano attorno al tifo organizzato. Questa situazione che si era sedimentata durante anni, cioè un professionismo del tifo legato anche agli affari, che condizionava o ricattava anche le società di calcio, ha ricevuto duri colpi negli ultimi mesi; da una parte Calciopoli ha cominciato a far emergere che c’era bisogno di rinnovamento anche nel mondo del calcio; ma soprattutto con l’omicidio Raciti anche la politica, nel senso dei responsabili del bene comune, ha cominciato ad intervenire su questo fenomeno con dei provvedimenti molto drastici e ad hoc. Citerò un episodio abbastanza inquietante, un’aggressione molto violenta fuori dallo stadio di San Siro, che aveva portato quasi in fin di vita un tifoso; questi in ospedale si era rifiutato di denunciare gli aggressori; si era in qualche modo riusciti a risalire ai responsabili grazie alle telecamere fuori dallo stadio, e si era scoperto che questa aggressione e l’omertà che ne era seguita erano collegate ad una spartizione del potere sul tifo organizzato connessa alla vendita dei biglietti. Dopo di che si sono succeduti vari interventi legislativi, decreti d’urgenza, regole come i biglietti nominali, i tornelli, i provvedimenti Daspo (Il Daspo - da D.A.SPO.= Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive - è una misura introdotta nel 1989, per contrastare il crescente fenomeno della violenza negli stadi. L'ultima modifica è stata varata nel febbraio 2007, con il cosiddetto Decreto Amato, a seguito della morte dell'Ispettore di Polizia Filippo Raciti in occasione del derby Catania/Palermo. Il Daspo vieta al soggetto ritenuto pericoloso di poter accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, N. d. r.). La magistratura quindi aveva cominciato a mettere in crisi questo tipo di mondo, che a sua volta ancora di più aveva identificato nella Polizia il principale nemico della gestione dei traffici e della indisturbata vita che si era creata attorno al tifo organizzato. Quello che è successo l’altro giorno è stata la scintilla che molti aspettavano, per tentare un regolamento di conti e per ribaltare la situazione; ne abbiamo avuto la prova con la caccia al poliziotto e soprattutto con l’assalto a Roma alla caserma della Polizia. Questo dice che c’è un fenomeno attorno al calcio, organizzato, violento, che sta in piedi sul tifo ma anche sull’odio, su un modo estremo di intendere il tifo, e che è particolarmente pericoloso.
D. Qualcuno collega questa violenza col disagio sociale.
Sanvito: Io non parlerei di particolari fenomeni sociologici; queste persone non sono così perchè c’è una causa sociale che li porta ad essere tali; se andiamo ad analizzare la classe sociale dei protagonisti ci troviamo di fronte a un discorso trasversale; addirittura durante l’omicidio Raciti si è scoperto che uno dei facinorosi era figlio di un poliziotto che in quel momento era in servizio. La stessa cosa si è ripetuta l’11 novembre a Taranto. C’è da pensare che sempre c’è una inclinazione alla violenza, all’odio, all’uso dei propri colori e dell’appartenenza come qualcosa che serve non ad andare incontro agli altri, ma ad esistere in opposizione agli altri. Esistono fenomeni di tifo assolutamente diversi, ricordo che ci sono dei tifosi che fanno della loro appartenenza ad una squadra l’occasione per un’ amicizia, per beneficenza, per volontariato; ci sono dei tifosi che vanno nella mattina della partita ad organizzare sfide di calcio coi tifosi dell’altra squadra. Questo deve fare i conti con un altro modo di fare intimidatorio, ricattatore; ad esempio a Roma attorno alla Lazio le curve gestivano il marketing del club; e con l’avvento di Lotito che ha cambiato le cose si è creato un violento scontro.
D. E’ possibile intravedere una via d’uscita?
Sanvito: Io sono sempre convinto che nessuna disgrazia, nessun sacrificio non possa convertirsi in qualcosa di positivo, di più grande. L’omicidio Raciti è stata l’occasione perchè tutta la società civile prendesse coscienza della gravità del fenomeno, di come il calcio era diventato di fatto ricettacolo ed ostaggio di violenti che usavano del tifo per una serie di illegalità. Non dimentichiamo che molti tifosi quando vanno in trasferta, negli autogrill rubano di tutto, devastano, vanno a caccia dell’altro tifoso; molti incidenti avvengono addirittura quando le tifoserie si incontrano. L’omicidio Raciti è stato un punto di svolta, nel senso che la società civile ha cominciato a reagire contro questo cancro con una serie di provvedimenti. Siamo quasi a metà del guado, ma questo ulteriore tragico episodio può essere la spinta ad un nuovo passo verso il ritorno alla normalità e verso una forma di tifo che, come in altri paesi è successo, riconsegni il calcio alle famiglie, ai bambini, a chi vuole godersi uno spettacolo in santa pace come occasione di incontro con gli altri. Naturalmente bisogna evitare la tentazione della strumentalizzazione di queste frange da parte del mondo politico.